Dalle novelle d’esordio, di timbro prevalentemente comico e grottesco, in cui è ancora presente l’influsso di Gogol’, ai capolavori della maturità, dominati da una vena malinconica e pessimistica – La steppa (1888), Il duello (1892), La corsia n. 6 (1892), Il monaco nero (1894), La signora col cagnolino (1899) – i racconti di Cechov evocano una drammaticità esistenziale trattenuta e sommessa. Poveri d’azione e quasi privi di intreccio, ma attenti alle più piccole incrinature dell’anima, hanno come protagonisti individui incompresi, umiliati, sconfitti dalla vita, vittime di equivoci e di autoinganni: un campionario di frustrazioni e mediocrità, dove trionfano l’impotenza ad agire e l’incapacità di comunicare. L’intera parabola narrativa di Cechov testimonia uno degli aspetti fondamentali della sua arte: quella sorta di dolente distacco dalle vicende descritte che riecheggia lo smarrimento di un’epoca e l’inerzia spirituale della società russa di fronte ai sintomi della propria decadenza morale e intellettuale.