Quella che va in scena è una novella dello stesso Pirandello che deve essere rappresentata “a soggetto”, cioè senza un copione prestabilito.
Questa sera si recita a soggetto fa parte della “trilogia del teatro nel teatro” di Luigi Pirandello, quella in cui la tradizionale separazione tra autore e spettatore è messa in discussione raccontando cosa succede sul palco e dietro le quinte.
Il regista Hinkfuss traduce l’opera in quadri e scene di smaccato gusto spettacolare, ma gli attori rifiutano di assoggettarsi alle sue decisioni e reclamano il primato della spontaneità sul freddo gioco scenico. Si sviluppa così una fitta polemica sulla regia del Novecento, perché lo spettacolo può andare avanti soltanto se gli attori possono recitare liberamente, facendosi interpreti appassionati di una trama che, oltre che con l’arte drammatica, ha a che fare con la natura umana.
“La vita deve obbedire a due necessità che, per essere opposte tra loro, non le consentono ne di consistere durevolmente ne di muoversi sempre. Se la vita si movesse sempre, non consisterebbe mai: se consistesse per sempre, non si moverebbe più. E la vita bisogna che consista e si muova.
Il poeta s’illude quando crede d’aver trovato la liberazione e raggiunto la quiete fissando per sempre in una forma immutabile la sua opera d’arte. Ha soltanto finito di vivere questa sua opera. La liberazione e la quiete non si hanno se non a costo di finire di vivere.
E quanti le han trovate e raggiunte sono in questa miserevole illusione, che credono d’essere ancora vivi, e invece son così morti che non avvertono più nemmeno il puzzo del loro cadavere.
Se un’opera d’arte sopravvive è solo perché noi possiamo ancora rimuoverla dalla fissità della sua forma; sciogliere questa sua forma dentro di noi in movimento vitale; e la vita glie la diamo allora noi; di tempo in tempo diversa, e varia dall’uno all’altro di noi; tante vite, e non una; come si può si può desumere dalle continue discussioni che se ne fanno e che nascono da non voler credere appunto questo: che siamo noi a dar questa vita; sicché quella che do io non è affatto possibile che sia uguale a quella di un altro.