Un libro dolce e nello stesso tempo sapido e malizioso, giocato sul filo del ricordo, della nostalgia ma anche dell’ironia, che ci guida in un sorridente viaggio in un’Italia che – forse – è stata dimenticata troppo presto; un libro scritto con finissimo humour, garbata satira e un pizzico di rimpianto; un libro fatto di tante piccole cose ormai scomparse e dimenticate che all’improvviso diventano affascinanti, dolcissime e sorprendenti.
Quando si andava a prendere l’acqua al pozzo (sperando, se era inverno, che non fosse gelata); quando i contadini erano tanti e gli operai pochissimi; quando (se tutto andava bene) si mangiava la carne solo di domenica; quando i ragazzi si dicevano “Ti amo” arrossendo; quando un viaggio di trenta chilometri era un’avventura che poi si raccontava agli amici; quando il sabato ci si metteva in camicia nera e si doveva inneggiare al “duce che ci conduce”; quando la parsimonia era considerata una virtù; quando, per sembrare eleganti, si rivoltavano le giacche e si rammendavano i calzini. Quando la maggior parte dell’Italia era fatta di povera gente, quando per scrivere una lettera d’amore si ricorreva ai consigli di Segretario galante, quando si doveva partire per la guerra volontari per forza.
In questo libro Cesare Marchi ci accompagna alla scoperta (anzi, alla riscoperta) di un’Italia che non era ancora una delle sette nazioni più industrializzate dell’Occidente, di un’Italia dove la povertà non era una colpa e tanto meno una vergogna, di un’Italia dove fiorivano cento mestieri ormai scomparsi, di un’Italia dove ci si commuoveva ascoltando le strofette ingenue di una canzonetta.