A raccontarci Pulce e il suo mondo speciale è la sorella Giovanna, con la sua voce ironica, candida, intelligente, divagante. Pulce è una bambina allegra, a cui piace infilarsi negli abbracci degli sconosciuti, stritolarti più forte che può. Quando un giorno, come tutti i giorni, mamma Anita va a prenderla a scuola, Pulce non c’è.
“Provvedimenti superiori” hanno deciso che loro non sono più dei buoni genitori, e Pulce è stata portata nella comunità Giorni Felici. Anita e Giovanna possono farle visita una volta alla settimana, “sotto lo sguardo soldato di un’educatrice”. Papà Gualtiero, invece, sua figlia non può vederla, perché su di lui grava una mostruosa accusa. Giovanna ha solo tredici anni quando comincia questa “storiaccia”. È una ragazzina curiosa, con qualche tic nervoso e un gruppetto di amici immaginari. E proprio grazie alla sua immaginazione vispa e intelligente, alla sua potente capacità inventiva, Giovanna ci racconta senza retorica e senza patetismi lo scontro tra mondo adulto e infanzia, tra malattia e normalità, tra rigidità delle istituzioni e legami affettivi. Il suo sguardo singolare, il suo punto di vista spostato, ci fa vedere improvvisamente le cose, rende intellegibile ciò che anche gli adulti faticano a capire.
E pensavo a tutte quelle volte in cui ero stata triste, perché avevo litigato con Pippa, o perché la Garfa mi aveva messo una nota e io l’avevo cancellata con il bianchetto ma mamma se n’era accorta, e appena mi cadeva sul pavimento la prima gocciolina di tristezza, appena cominciavo a pensare che forse ero sola con le mie bravate, ecco che Pulce affacciava la sua testolina alla porta: ovunque fosse si alzava, veniva ad abbracciarmi, mi guardava, mi sorrideva e mi dava una carezza finché non vedeva che stavo meglio, mi scuoteva la faccia forse perché era certa che l’aria avrebbe seccato i miei occhi, poi se ne tornava di là.