Secondo Indro Montanelli la storia del XX secolo «la si può fare senza chiunque ma non senza Guareschi». Non è un’esagerazione, anche solo ricordando gli episodi più importanti della vita e dell’opera di questo scrittore. Nella prima metà del ‘900 Giovannino Guareschi è un celebre giornalista del Bertoldo. Nel 1943 viene deportato nei lager nazisti, divenendo una figura di spicco della “resistenza bianca”. Al rientro fonda e dirige il Candido, il maggior settimanale politico-satirico del dopoguerra. Nel ’46 sostiene la monarchia al referendum istituzionale. Fornisce un contributo essenziale alla vittoria democristiana nelle elezioni del 1948 con i famosi manifesti «Nell’urna Dio ti vede, Stalin no» e «Mamma votagli contro anche per me». Diviene un importante opinion-leader, uno dei più feroci fustigatori del partitismo e il principale polemista anticomunista. Nel ’53 finisce in carcere per diffamazione di Einauidi e De Gasperi. Già questa sommaria lettura della sua biografia dimostra come l’autore di Don Camillo sia stato uno dei più importanti intellettuali civili del ‘900. Naturalmente, ci sono anche i libri del Mondo piccolo e molti altri: venduti e tradotti in milioni di copie, hanno ispirato film ancor oggi di grande audience. Ma, forse, a questo successo si deve un paradossale fraintendimento: l’edulcorazione dell’importanza storica e culturale di Guareschi e la sottovalutazione della sua statura morale. Un rischio che egli corre a causa sia dei “nemici” ansiosi di minimizzarne l’importanza, sia di taluni “amici” che sembrano confermarne l’immagine debole. Guareschi è invece un autore centrale della nostra letteratura, un giornalista politico fondamentale e un raro esempio di coerenza umana e intellettuale.