Il gioco del calcio come metafora della vita. Una partita di calcio, in quel di Monferrato in una fredda sera d’Inverno, fra ricchi e poveri in una città che vede disiguaglianza fra gli adulti.
Un tardo pomeriggio d’inverno, sei più sei ragazzini e un pallone da calcio, una mamma in auto che aspetta. La scena è un quadro, presepio inconsapevole nell’attesa di un segno. E quando il pallone sale verso il cielo, in una traiettoria esatta tendente all’infinito, tutto si fa chiaro per tutti. E’ il pallonetto perfetto, preparato da generazioni, opera d’arte che si mostra improvvisamente compiuta al suo creatore stupefatto. Nell’attimo che si prolunga, tempo elastico che ha il respiro dell’eternità, la parabola celeste di questa stella cometa è intersecata da flussi. Pensa e ricorda e piange la madre – e moglie – sola nell’auto, davanti a tanta bellezza rivelata. Pensa e stupisce e sogna l’autore del tiro, miracoloso e inevitabile. Pensa e teme e spera ancora il portiere troppo piccolo, le mani occupate nel gioco sumero di lasciar scorrere la polvere tra i pugni chiusi. Come clessidra scandire il momento magico, irripetibile, con il soffio dei millenni. Mentre il buio cala sul tableau vivant, sul campetto visitato dal divino in un tardo pomeriggio d’inverno.