“Il racconto d’inverno”, scritto probabilmente nel 1611, insieme a “La Tempesta”, trae ispirazione da un romanzo d’intrigo e d’avventura che da vent’anni continuava a riscuotere grande successo: Pandosto. Eliminando le parti cupe e sinistre e portando in primo piano i temi a lui cari della perdita e del ritrovamento, della restaurazione dell’innocenza calunniata, del perdono, il genio di Shakespeare ne fa uno spettacolo popolare di altrettanto successo, una sorta di fiaba-commedia “adatta alle lunghe serate d’inverno, che s’estende su un periodo di molti anni e viaggia per molti paesi, una storia malinconica, triste, commovente, ma che fa anche ridere.
Il re di Sicilia Leonte ha sposato Ermione, ma crede che il figlio nascituro sia del re di Boemia Polissene. Leonte ordina al cortigiano Camillo di avvelenarlo, ma questi non gli obbedisce e fugge con Polissene. Leonte istruisce un processo per adulterio contro Ermione e fa interpellare l’oracolo di Delfi. Leonte ordina anche che la bambina, nata nel frattempo, venga abbandonata su una spiaggia deserta. La morte di Ermione giunge prima che l’oracolo sveli la sua innocenza, mentre Perdita, la bambina, viene salvata e, cresciuta, ama il figlio di Polissene con cui fugge in Sicilia. Afflitto dal senso di colpa per la morte della moglie, Leonte riconosce la figlia e riceve in dono una statua, che non solo somiglia ad Ermione, ma è Ermione stessa.
– Un consiglio.
– Ce l’ho – quello della mia passione. Se ad esso
la mia ragione obbidirà, starò con la ragione.
Altrimenti i miei sensi, più attratti dalla pazzia
lo accoglieranno.