Il gioco come strumento di emancipazione economica e sociale, il rischio come filosofia di vita, la roulette come architrave su cui poggiare la propria esistenza presente e futura. Sono questi gli ingredienti salienti dei giocatori che gironzolano in questo romanzo: gente che ha scelto di vivere costantemente con un piede sul baratro e l’altro già nel vuoto e che non vuole comprendere quanto possa essere fatua una vincita e pericolosa una perdita e che vive ogni giorno come fosse l’ultimo e ogni “giocata” come fosse quella decisiva!
Quella che Dostoevskij tratteggia nel “Giocatore” è una vera e propria radiografia letteraria del vizio del gioco, un’istantanea dei modi in cui il demone dell’azzardo può possedere uomini e donne di età ed estrazione sociale diversa. Un’istantanea così vivida da spingere Sergej Prokofiev a trasformarla in un’opera omonima, caposaldo della lirica novecentesca. Nella fittizia cittadina tedesca di Roulettenburg va in scena, attorno a un totem fatto di fiches e casinò, un vero e proprio carosello di figure, dal giovane precettore Aleksej al vecchio generale, dall’anziana, ricchissima nonnina al cialtronesco marchese des Grieux, dalla graziosa Polina alla misteriosa mademoiselle Blanche. Succede di tutto, eppure nulla cambia e chi, come Aleksej, è posseduto dal gioco potrà guarire e redimersi, sì, ma solo “da domani”.