Scritto nel 1986, è un’analisi dell’universo concentrazionario che l’autore compie partendo dalla personale esperienza di prigioniero del campo di sterminio nazista di Auschwitz e allargando il confronto a esperienze analoghe della storia recente, tra i cui i gulag sovietici.
La narrazione descrive con lucidità e distacco – nonostante l’averne vissuto l’esperienza diretta – i meccanismi che portano alla creazione di “zone grigie” di potere tra oppressori e oppressi, la corruzione economica e morale delle persone che vivono nei sistemi concentrazionari, gli scopi e gli utilizzi politici e sociali di tali sistemi, la replicazione di analoghe dinamiche comportamentali nelle realtà quotidiane odierne.
Era la prima volta che incappavo nell’avventura sempre scottante, mai gratuita, dell’essere tradotti, del vedere il proprio pensiero manomesso, rifatto, la propria parola passata al vaglio, trasformata, o mal intesa, o magari potenziata da qualche insperata risorsa della lingua d’arrivo.