13 Gen UNA QUESTIONE PRIVATA
“Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita: la stagione che va dal Sentiero dei nidi di ragno a Una questione privata.”
Le parole di Calvino, in esergo, rappresentano perfettamente la potenza evocativa ed emotiva del romanzo “Una questione privata” di Beppe Fenoglio, pubblicato postumo nel 1963.
Come disse Adorno, se dopo Auschwitz la poesia era impossibile, dopo l’esperienza della resistenza l’affabulazione narrativa rappresentava un vero imperativo morale.
Vittorini raccontò la vicenda dei GAP milanesi (forma di resistenza sviluppata nelle città e di tipo terroristico) in Uomini e no; Calvino raccontò le brigate resistenziali in una fiaba di antieroi in Il sentiero dei nidi di ragno; Pavese si confrontò, dal punto di vista letterario, con l’esperienza della guerriglia nelle sue colline, e col senso di colpa nato dall’auto-esclusione in La casa in collina.
Dopo quindici anni, venne donato alle stampe il romanzo Una questione privata, e fu subito caso letterario. Beppe Fenoglio aveva scritto «il romanzo che tutti avevamo sognato», una storia che è stata capace di dipingere con realismo la Resistenza senza parlare direttamente di Resistenza.
Fenoglio inizia a scrivere Una questione privata nel 1960, combattuto tra il bisogno di scrivere e la voglia, o forse la necessità, di allontanare da sé l’immagine dello scrittore di guerra impegnato, dello scrittore “della resistenza”. Fenoglio desiderava dedicarsi al romanzo, dando centralità agli aspetti emotivi dei protagonisti, ma avvertiva al contempo la necessità di chiudere i conti con la sua esperienza partigiana. Aveva combattuto al fronte, nelle Langhe di cui abilmente narrerà; tuttavia, a trentotto anni, si agitava in lui il bisogno di essere altro, di potersi discostare da un recente passato ingombrante e importante.
Una questione privata riflette perfettamente il dualismo, la lotta interiore dello scrittore; la stessa lotta interiore che muove Milton, il protagonista, pagina dopo pagina.
Milton è un giovane partigiano innamorato di Fulvia da un anno; quando torna nella casa in cui si incontravano per leggere insieme, per ascoltare musica, quella stessa casa in cui lei gli chiedeva di declamare a voce alta le lettere che le dedicava, scopre una verità che sovverte il suo ordine interiore. Fino ad allora combattente devoto alla causa e ligio al dovere, Milton, di colpo, è trasformato: “Più niente mi importa. Di colpo, più niente. La guerra, la libertà, i compagni, i nemici. Solo più quella verità.”
Un bisogno che si scontra ben presto con la realtà: l’unica persona che può dargli una risposta è stata fatta prigioniera dai nazisti.
Ed è qui che il racconto della Resistenza si infiltra nelle fratture emotive della questione privata, ingrandendo gli ostacoli che Milton deve superare per risolverla, mostrandosi con prepotenza in quasi tutte le conversazioni, che finiscono sempre per sfociare in lunghi racconti di episodi di vita da resistente.
Inizia così l’odissea di Milton, paragonata dalla critica a quella cavalleresca de l’Orlando Furioso”: Fenoglio prende per mano il lettore e gli fa compiere gli stessi passi del protagonista, lo guida in quel territorio desolato dalla guerra e dalla nebbia, trasformando la nebbia in un muro invalicabile capace di cambiare la vita di un uomo.
Ma soprattutto, attraverso il romanzo, fa un monito molto forte: le questioni private hanno una violenza tale che impedisce di ignorarle, ma dalle situazioni storiche straordinarie non ci si può prendere una pausa senza poi doverne affrontare le conseguenze o senza che vi siano ricadute sugli altri. L’impatto maggiore, nel romanzo lo fornisce il capitolo 12, quello in cui, quasi a voler ricordare al lettore che la resistenza, la guerra, la violenza inaudita del regime erano in essere e non andavano dimenticate, Fenoglio traccia il profilo netto delle conseguenze provocate dalla questione privata del protagonista focalizzando l’attenzione sull’esecuzione cruda e crudele di due ragazzini per mano dei nazisti, come vendetta nei confronti dei partigiani e dello stesso Milton.
Ogni incontro, ogni dialogo, ogni passo, ogni pensiero che Milton vive, è condizionato dalla sua questione privata, che, paradossalmente, non fa che ricordargli quanto la guerra sia perfida, vigliacca e crudele.
Resistere al nemico, ma non al cuore; resistere al freddo, alla fame, alla mancanza di confini, ma non ad un sentimento che consuma attimo dopo attimo. Resistere ad un presente che non lascia spazio a sguardi sul futuro, ma non alla paura che dopo, senza quel sentimento che ha mosso ogni passo, ogni guerra possa essere stata vana. Non c’è guerra tra popoli che possa essere più dilaniante di quella personale che toglie il fiato e brucia i pensieri.
Una questione privata è la perfetta rappresentazione della caducità delle nostre certezze, del nostro equilibrio di esseri umani senza un appiglio che ci consenta di lottare per un futuro da costruire, anche “solo” con la persona amata.