A Casa di Lucia | L’ALTRA FACCIA DEL NATALE
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L’ALTRA FACCIA DEL NATALE

Ero da poco tornata dalle vacanze estive quando, passando di fianco ad un noto centro commerciale, ho notato le vetrine di un negozio di oggettistica per la casa già addobbate con luci splendenti e diversi alberi di Natale. Era la fine di agosto, faceva ancora molto caldo, alla fine di un’estate ancora molto rovente. Per un attimo, davanti a quelle luci e ai Babbi Natale sparsi intorno, ho pensato a come potevano sentirsi gli australiani o gli argentini, abitanti del Sud del mondo, nel comprare gli addobbi natalizi o i regali di Natale con le infradito ai piedi.

Purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista, non vivo nell’emisfero australe ed il periodo natalizio coincide quasi sempre con la stagione invernale fatta di neve, cappotti, guanti e camini accesi.

Per quale motivo, dunque, una nota catena di negozi ha sentito il bisogno impellente di esporre dalle proprie vetrine alberi di Natale e addobbi natalizi già a fine agosto, quando ancora tutti cercavamo di smaltire le ferie estive ed eravamo tutt’altro che prossimi alle vacanze natalizie?

E, soprattutto, è sempre stato così? La dura verità è che se questo negozio già da fine agosto ha iniziato ad esporre articoli invernali e natalizi è perché viviamo in una società sostanzialmente asservita al consumismo. L’intero anno è in genere caratterizzato da diversi tipi di festività, ma nessuna come il Natale riesce ad eguagliarne i profitti.

Così, da già molti anni, il Natale è diventato un jingle vero e proprio più che una ricorrenza religiosa. S’impone di anno in anno, in maniera sempre più incalzante: le pubblicità aumentano, si anticipano addirittura già in estate, gli oggetti da regalare diventano sempre più allettanti, al punto che donare a qualcuno un presente diviene più un obbligo dal quale non ci si può sottrarre assolutamente che un gesto spontaneo. Quando qualcosa è accettato da tutti, qualsiasi individuo avverte la pressione di dover adempiere a quell’obbligo. Oggigiorno esperti di marketing, pagine social, algoritmi studiati appositamente per ciascuno di noi sono costantemente impegnati per tentare ad acquistare oggetti inutili, superficiali, con i quali soddisfare bisogni dettati dalle regole del consumo di massa. A contribuire a questa spirale di consumo fine a se stesso vi sono anche gli istituti della Tredicesima e Quattordicesima (le mensilità aggiuntive degli stipendi dei lavoratori dipendenti che vengono di solito pagate nel mese di dicembre e nei primi mesi estivi). Istituti che rappresentano una grande conquista sindacale dei lavoratori, ma che viene talvolta ingurgitata dal consumismo natalizio.

Ciò che però salta maggiormente all’occhio è l’istituzionalizzazione del consumismo natalizio. Ad avvalorare ulteriormente la spinta estremamente consumistica, basta ricordare che, un secolo fa, proprio il giorno di Natale del 1924, i rappresentanti dei maggiori produttori mondiali di lampadine decisero, incontrandosi a Ginevra,  che la vita di una lampadina non poteva superare le mille ore di luce, introducendo nei loro prodotti un difetto che prima non esisteva, dato che praticamente le lampadine erano pressoché eterne.

Abbiamo poi impiegato un secolo a comprendere, e non ancora a livello generale, che esiste un problema sociale preoccupante che si chiama obsolescenza programmata: automobili, elettrodomestici, computer, smartphone, stampanti, televisori, soprattutto quelli di uso comune e non di lusso, sono prodotti soggetti ad una programmazione pro tempore. Oggetti che nel periodo natalizio vengono venduti a prezzi scontati imperdibili, per cui è impossibili resistere. L’obbligo di comprare diviene una necessità impellente, dalla quale non ci si può in alcun modo sottrarre. Famiglie, fidanzati, mogli, nonni, aziende, tutti sentono l’obbligatorietà sociale di donare qualcosa, quasi che fosse l’ennesima incombenza mensile da ottemperare. Pensare che il dono natalizio dovrebbe essere un semplice pensiero spontaneo nei confronti di chi ci sta più a cuore! Ed invece la spasmodica corsa al regalo più economico, ma anche alla moda per non far brutta figura, diventa un leitmotiv ricorrente di chiunque di noi nei giorni immediatamente precedenti alle festività natalizie. Qualche decennio fa, in merito, venne pubblicato un articolo di Pier Paolo Pasolini, precisamente il 4 gennaio 1969, all’interno della rubrica Caos nel Tempo

In uno stralcio dell’articolo ebbe a dire : «Per il nuovo capitalismo, che si creda in Dio, nella Patria o nella Famiglia, è indifferente. Esso ha infatti creato il suo nuovo mito autonomo: il Benessere». Il Capitalismo, sostenne PPP, in sostanza ha  annichilito e annientato la sacralità che risiedeva nella festività stessa, andando però a generare una nuova tipologia di sacralità, quella del dono, o meglio “regalo”. Il regalo, quello consumistico, è però molto distante dal concetto di dono cristiano. Ironicamente Pasolini rincarò la dose affermando che il Natale, essendo originariamente una festa pagana e allegra, ha bisogno del capitalismo consumistico proprio per tornare a quella felicità e allegria incontrollate. Dunque ciò che si vive sotto Natale è una sorta di psicosi bellica dell’acquisto, del consumo sfrenato e irrefrenabile. E, poiché Pasolini voleva fuggire da questa aberrazione del Natale stesso, conclude affermando che spesso per questo motivo trascorreva i periodi natalizi all’estero, in Paesi ancora non fagocitati dal male del capitalismo.

Purtroppo per noi, dal 1969 sono passati diversi anni e, ad oggi, di Paesi non ancora fagocitati ne sono rimasti ben pochi.



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