“Chi non conosce la verità è soltanto uno sciocco; ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un criminale!”
Mescolando sapientemente nelle sue battute profondità di pensiero e ironia, Brecht ci restituisce un personaggio complesso e di grande spessore, dal punto di vista intellettuale, ed umano.
Probabilmente come lo era l’uomo, Galileo Galilei.
Frutto di diverse stesure, la commedia nasce negli anni che precedono immediatamente la Seconda guerra mondiale e che vedono sperimentare e utilizzare a fini bellici la scissione dell’atomo, gli anni in cui si compie definitivamente una paurosa frattura tra progresso tecnico e progresso sociale. La figura di Galileo, lo scienziato che con le sue rivoluzionarie intuizioni rischia di mettere a repentaglio gli equilibri teologici e sociali del suo tempo e che si piega alla ritrattazione per timore della tortura e per mancanza di agonismo eroico, è la metafora dello scienziato moderno, dell’intellettuale perseguitato dall’inesorabile binomio scienza-fanatismo. Eppure, nonostante il suo intimo dissidio, la sua contraddittorietà, questo Galileo brechtiano è figura umanamente ricca, moderna proprio perché, pur asserendo in modo geniale la verità contro l’ignoranza, la superstizione e il conformismo, egli resta in bilico perenne tra due fronti. Dramma implicitamente antiatomico, “Vita di Galileo” mantiene oggi, al di là della sua straordinaria efficacia scenica, una notevole attualità proprio tematizzando la figura degli scienziati “deboli”, subalterni al potere politico, “gnomi” venali, troppo spesso privi di coraggio etico.