A Casa di Lucia | PAROLA INTRADUCIBILE: FARGIN
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PAROLA INTRADUCIBILE: FARGIN

La parola di oggi è: Fargin 

Una parola che deriva dall’antica lingua Yiddish e che risulta essere ricca di significato.

Letteralmente si traduce con l’espressione: Orgoglio e sincera felicità per il successo di qualcun altro”. 

Fargin corrisponde all’esatto opposto dell’invidia e descrive un sentimento speciale e molto raro soprattutto nella società odierna.

Sono pochi coloro che provano gioia, allegria, felicità e soddisfazione per i successi di un amico, un parente, un collega di lavoro.

La nostra è una società dove prevale la competizione, il livore e la scarsa empatia. È impostata sul metro di paragone, che è il principale generatore di invidia, di quel senso di rabbia e di frustrazione che si prova per la felicità di qualcun altro. Una società  sorda e cieca di fronte a figli che fanno dell’aggressività verbale e fisica, dell’invidia, della cattiveria la loro bandiera.

Identità fragili che vedono il loro valore legato alla prestazione e non più alla morale.

C’è crisi di autorità e di valori. C’è un forte consumismo educativo. 

Overdose di affetto che passa attraverso tutto ciò che è materiale.

C’è un iperprotezionismo a scapito delle emozioni che i figli devono poter vivere compresa la sconfitta, la noia, la frustrazione.

Ecco perché il fargin è raro. Per provare una sincera e disinteressata felicità dell’altro serve equilibrio interiore, bisogna conoscere il proprio potenziale a avere l’asticella del proprio “autostimometro” alta. 

Applaudire dei successi altrui e, con ammirazione, ergerli ad esempio per migliorare se stessi. 

Michael Wex, scrittore canadese, per sottolineare la rarità del  fargin  in Born to Kvetch racconta:

«Un angelo appare a un uomo. “È il tuo giorno fortunato — gli dice — puoi avere tutto quello che desideri, in quantità illimitata, ma il tuo vicino ne riceverà il doppio”. È esasperante, pensa l’uomo. Poi ha un’idea e dice: “Voglio perdere la vista da un occhio”».

Ecco, il morso dell’invidia uccide chi la nutre.

L’invidia  è certamente una reazione umana, ma a volte si manifesta in maniera così sfrontata da provocare conflitti e malumori che non lasciano indifferente chi la subisce.

In soccorso c’è Alda Merini: 

E poi la vita ci insegna

che bisogna sempre volare in alto.

Più in alto dell’invidia,

più del dolore, della cattiveria.

Più in alto delle lacrime, dei giudizi.

Bisogna sempre volare in alto,

dove certe parole non possono offenderci,

dove certi gesti non possono ferirci,

dove certe persone

non potranno arrivare mai.

Sapere chi sei e quanto vali, sapere quanto valgono i tuoi affetti e ciò che hai costruito con loro e per loro, è l’unica cosa che alla fine conta.

Paolo Crepet dice:

«Quando non sai fare niente iniziano delle cose che si chiamano invidia, arroganza, prepotenza. Tutto questo genera violenza.

Ma se tu sai fare bene le tue cose… perché devi invidiare?

Invidiare chi? Uno che è più bravo di te? Io non ho mai invidiato uno che è più bravo di me. E ne ho conosciuti tanti; ho conosciuto tanta gente che è più colta di me, che ha fatto un sacco di cose belle.

Anzi, mi sembrava bello poterci stare insieme un’oretta. Parlarci. Con uno più bravo di me.

Perché, se volete giocare a tennis, imparare a giocare a tennis, non dovete giocare col raccattapalle. Dovete giocare con quello bravo.

E cosa succede quando giochi con quello bravo? Perdi 6-0, 6-0. Ma impari. Con quello mediocre, magari vinci pure, ma non impari niente

Mi piace immaginare “fargin” e “invidia” come due leoni che in ognuno di noi combattono.

Vince quello che nutriamo. Io ho scelto. Chi mi conosce veramente sa.

 



× Ciao!