21 Apr PAROLA INTRADUCIBILE: ARTETECA
Buona Domenica con una nuova parola intraducibile: ARTETECA
Lo so, avete subito pensato all’omonimo duo comico divenuto celebre grazie alla trasmissione tv Made in Sud.
Ne parleremo, ma prima vediamo l’origine di questa espressione napoletana.
“Ma cherè, tien l’arteteca”?
Questo curioso modo di dire ha spesso un senso canzonatorio, ma in passato ha indicato una grave malattia che colpiva soprattutto i bambini.
Letteralmente, si attribuisce a questo termine il significato di agitazione, irrequietezza o insofferenza, che si manifesta in movimenti continui e nervosi.
Un concetto che ha origini antiche ed ha i suoi lati più nascosti nell’etimologia della parola.
Nel suo “Vocabolario napoletano lessigrafico e storico”, pubblicato a metà Ottocento, Vincenzo De Ritis individua l’etimologia del termine nel tardo latino “arthritis”, una malattia molto diffusa in tempi antichi e che, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, si manifestava attraverso una febbre reumatica, artritica; non a caso, arteteca è da rimandare al termine “arthritis” che proviene da “arthron”, ossia giuntura, articolazione.
Una patologia, quella della febbre reumatica, la cui diffusione oggi è particolarmente e fortunatamente limitata grazie all’uso di antibiotici, ma che ai tempi, colpendo le articolazioni, portava il malato a compiere scatti involontari, irregolari e ripetuti, sintomi identificati con il ballo di San Vito. L’artéteca, in quest’accezione, era una malattia diffusa soprattutto fra i bambini, e almeno fino alla metà del Novecento ha costituito una vera e propria piaga sociale.
Già ai tempi, però, i latini ricercavano la causa di questa malattia in un malessere interiore, una “gutta”, ossia una goccia che pian piano, attraverso uno stato emotivo agitato, va ad intaccare le articolazioni.
Oggi chi ci chiederà “Tieni l’arteteca?” di certo non farà riferimento alla febbre reumatica, bensì ad una malattia ben più comune al giorno d’oggi, ossia l’ansia e l’agitazione che ci portano, proprio come i bambini più vivaci, a muoverci di continuo e non stare mai fermi.
L’artéteca non è un modo di essere: l’artéteca “si tiene”, quasi come una malattia.
A chi non capita, in determinati giorni, di essere particolarmente agitati, in ansia, incapaci di rimanere calmi e soprattutto fermi. In questi casi si tende a scrollarsi la sensazione di agitazione camminando, compiendo movimenti ripetuti più volte, trasmettendo questo senso di frustrazione ed insofferenza agli altri, che sicuramente non mancheranno di rivolgerci una domanda: “Ma cherè, tien l’arteteca?”.
Mentre dunque in antichità si credeva diretta conseguenza del male ipocondriaco, con il passare del tempo il dialetto ha esteso la sfera d’uso di questa parola, rendendola quotidiana, colloquiale e, nella maggior parte dei casi, canzonatoria. È ormai passata ad indicare chi non riposa mai ed è sempre in attività, chi è perennemente frenetico e vive la propria quotidianità in modo convulso e agitato o chi, semplicemente, è estremamente vivace.
Questa parola, come abbiamo detto all’inizio, si è diffusa anche grazie all’omonimo e famoso duo comico di Made in Sud, gli ARTETECA.
Enzo e Monica sono sicuramente una delle coppie più divertenti della televisione italiana. Il duo comico, infatti, ha letteralmente conquistato il pubblico con una serie di personaggi molto iconici. Come non ricordare, per esempio, “i tamarri”, una coppia molto stravagante di fidanzati che accentuavano i luoghi comuni dei meridionali. Il loro successo gli ha permesso di fare anche un film tutto loro, “Finalmente Sposi”. In un’intervista rilasciata a TV Sorrisi e Canzoni, la coppia ha rivelato quale fosse il significato del nome Arteteca. “È un’espressione partenopea che indica irrequietezza e noi ci muoviamo continuamente”, dice Enzo. “Monica si spegne spesso perché è pigra, ma la sua mente si agita anche quando dorme”, sottolinea il comico, indicando quindi che si tratta di un nome che li rappresenta anche al di fuori del palco. “Enzo non sta mai fermo un attimo, ma quando si rilassa spegne pure il cervello”, afferma Monica, prendendo in giro il marito. I due, decisamente, sono affiatati nella vita privata tanto quanto lo sono sul palco.
Mi permetto a questo punto di citare un libro che ha molto a che spartire con la parola di oggi. Il libro a cui mi riferisco è “Delli travagliuse ammure de Ciullo et de Perna” di Giulio Cesare Cortese.
L’operetta di Giulio Cesare Cortese narra in una lingua sapida e sonora le avventure tragicomiche di Ciullo, giovanotto napoletano con qualche quarto di nobiltà, e della sua adorata Perna (ovvero Perla).
L’autore usa spesso la nostra parola del giorno. Una per tutte, vi riporto questo stralcio di pag.246
“Ogni Riccio à suo pagliariccio ; e fe iezero à sorcare , adove subero foro adormute tutte , perche tutte erzno reprise , ina Ciullo se be era chiu stracco dell’aute , perche teneua ncuorpo l’Am . , more , ch’haue sempre l’arteteca non poteua dormire…”
Analizzare questa parola ha fatto riaffiorare in me ricordi dell’infanzia.
Mia nonna a volte aggrottava la fronte e mi diceva: “piccerè, ma che tien l’arteteca?”.
Sono una donna adesso. E “l’arteteca”, cara nonna, non mi è ancora passata.
E tu che leggi, a volte “tien l’arteteca”?