27 Mar GESU’ DI NAZARETH: MORTE E RESURREZIONE
In questi anni, che segnano l’inizio del terzo millennio sembra che si sia risvegliato un particolare interesse per Gesù di Nazaret. Per la verità, i libri scritti negli ultimi anni sulla sua figura e la sua persona, anche se non tutti positivi, mettono in rilievo l’attualità e la trascendenza del Figlio di Dio fatto uomo, nonché l’attrattiva della sua vita.
Il terribile avvenimento del Venerdì Santo. immerso in un trasfigurato dolore è stato più volte rappresentato dall’arte, a mò di ammonimento su quanto sia stato fatto per noi, da Lui, nel corso degli ultimi 2000 anni.
Il “Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli, considerato dai più “Il lungometraggio per eccellenza sulla vita, morte e resurrezione di Gesù” ha descritto in modo efficace il momento cruciale della sua esistenza terrena.
Il momento più tremendo del racconto della Passione è certo quello in cui, al culmine della sofferenza sulla croce, Gesù grida a gran voce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Sono le parole del Salmo con le quali Israele sofferente, maltrattato e deriso a causa della sua fede, grida in faccia a Dio il suo bisogno d’aiuto. Ma questo grido di preghiera di un popolo, la cui elezione e comunione con Dio sembra essere diventata addirittura una maledizione, acquista tutta la sua tremenda grandezza solo sulle labbra di colui che è proprio la vicinanza redentrice di Dio fra gli uomini.
Se sa di essere stato abbandonato da Dio, allora dove è ancora possibile trovarlo? Non è forse questa la vera eclissi solare della storia in cui si spegne la luce del mondo? Oggi, tuttavia, l’eco di quel grido risuona nelle nostre orecchie in mille modi: dall’inferno dei campi di concentramento, dai campi di battaglia dei guerriglieri, dagli slums degli affamati e dei disperati:
“Dove sei Dio, se hai potuto creare un mondo così, se permetti impassibile che a patire le sofferenze più terribili siano spesso proprio le più innocenti tra le tue creature, come agnelli condotti al macello, muti, senza poter aprire bocca?”.
L’antica domanda di Giobbe si è acuita come mai prima d’ora. A volte prende un tono piuttosto arrogante e lascia trasparire una malvagia soddisfazione. Così, ad esempio, quando alcuni giornali studenteschi ripetono con supponenza quel che in precedenza era stato inculcato loro, e cioè che in un mondo che ha dovuto imparare i nomi di Auschwitz e del Vietnam non è più possibile parlare sul serio di un Dio “buono”. In ogni caso, il tono falso che troppo spesso l’accompagna, nulla toglie all’autenticità della domanda: nell’attuale momento storico è come se tutti noi fossimo posti letteralmente in quel punto della passione di Gesù in cui essa diviene grido d’aiuto al Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Va notato innanzitutto che Gesù non constata l’assenza di Dio, ma la trasforma in preghiera. Se vogliamo porre il Venerdì Santo del ventesimo secolo dentro il Venerdì Santo di Gesù, dobbiamo far coincidere il grido d’aiuto di questo secolo con quello rivolto al Padre, trasformarlo in preghiera al Dio comunque vicino. Si potrebbe subito proseguire la riflessione e dire:
“E’ veramente possibile pregare con cuore sincero quando nulla si è fatto per lavare il sangue degli oppressi e per asciugarne le lacrime? Il gesto della Veronica non è il minimo che debba accadere perché sia lecito iniziare a parlare di preghiera? Ma soprattutto: si può pregare solo con le labbra o non è sempre necessario invece tutto l’uomo?” così Papa Benedetto XVI, nel suo “Gesù di Nazaret, scritti di cristologia”, secondo tomo del volume VI della Opera omnia di Joseph Ratzinger.
Resurrezione, ovvero il ritorno in vita dopo la morte, compiuto da Gesù dopo il sacrificio sulla croce rappresenta il punto massimo della sua missione terrena. Metafora, non solo atto estremo, di ciò che attende l’uomo dopo l’oblio mortale ma anche di rinascita nel corso del viaggio terreno che ognuno compie.
Tolstoj nel suo Resurrezione tenta di adattare quanto compiuto dal figlio di Dio alla vita miserabile di ognuno di noi. Resurrezione come redenzione personale.
La redenzione perciò non è un dono naturale né un precetto sociale e neppure una grazia, ma solo una conquista individuale, in cui ognuno deve trovare (se può), la propria strada. La Maslova ci riesce nel libro dello scrittore russo, il destino di Nechljudov rimanda a un futuro incerto; per tutti gli altri, Tolstoj ci lascia almeno il beneficio del dubbio:
“Una delle superstizioni più frequenti e diffuse è che ogni uomo abbia solo certe qualità già definite, che ci sia l’uomo buono, cattivo, intelligente, stupido, energico, apatico eccetera. Ma gli uomini non sono così. Possiamo dire di un uomo che è più spesso buono che cattivo, più spesso intelligente che stupido, più spesso energico che apatico, e viceversa. Ma non sarebbe la verità se dicessimo di un uomo che è buono o intelligente e di un altro che è cattivo, o stupido. E invece è sempre così che distinguiamo le persone. Ed è sbagliato. Gli uomini sono come fiumi: l’acqua è in tutti uguale e ovunque la stessa, ma ogni fiume è ora stretto, ora rapido, ora ampio, ora tranquillo, ora limpido, ora freddo, ora torbido, ora tiepido. Così anche gli uomini. Ogni uomo reca in sé, in germe, tutte le qualità umane, e talvolta ne manifesta alcune, talvolta altre e spesso non è affatto simile a sé, pur restando sempre unico e sempre lo stesso”.
In alcune parti del mondo, come in Spagna e in Messico, di quanto accaduto sul Golgota, vengono messe in scena celebrazioni del Venerdì Santo che includono processioni con statue della Madonna Addolorata e di Cristo portate in strada dai fedeli. Queste processioni vengono accompagnate da cori e bande musicali che suonano musiche sacre. La Settimana Santa in Andalusia, in Spagna, è una delle celebrazioni più famose al mondo, durante la quale le processioni sfoggiano le opere d’arte sacra, i misteri, gli abiti tradizionali e le cofradías.
In Italia, il Venerdì Santo è caratterizzato dalla Via Crucis del Colosseo, durante la quale il Papa prega e medita sugli ultimi momenti della vita di Cristo. Questo evento è trasmesso in diretta televisiva e seguito da milioni di persone in tutto il mondo.
Le processioni raccontano la storia di quel paese dove si svolgono e dei sentimenti dei suoi abitanti nel tempo in cui furono create. Esse usano un linguaggio di gesti e di simboli, legati al tempo in cui la processione si svolge. Una delle più antiche e famose processioni, fra le innumerevoli che si svolgono nella penisola, è quella che dalla metà circa del Seicento coinvolge tutti gli abitanti dell’isola di Procida, cioè la suggestiva processione con i cosiddetti Misteri che rappresentano scene della Passione di Cristo, come i Misteri dolorosi del Rosario, o comunque scene ispirate alla sacra Scrittura che si portano in processione insieme con la famosa statua del Cristo morto scolpita da Carmine Lantriceni (1728) e a quella dell’Addolorata.
“Ogni uomo, per agire, ha bisogno di credere importante e buona la propria attività. E per questo, qualunque sia la sua condizione, egli non mancherà di crearsi una visione della vita umana in genere, alla luce della quale la sua attività possa apparirgli importante e buona.”
Buon Triduo Pasquale a tutti noi!
Nello spirito vivo di questi rituali e dei loro risvolti culturali, vi invitiamo ad approfondire la Pasqua con noi leggendo hli altri articoli di questo fil rouge pasquale, che vi porterà tra romanzi, viaggi in Palestina, ricette della tradizione e, non solo cinema, ma anche musica. Ecco i link da seguire:
https://www.acasadilucia.org/2024/03/25/il-vangelo-secondo-gesu-cristo/
https://www.acasadilucia.org/2024/03/31/34372/
https://www.acasadilucia.org/2024/03/29/sua-maesta-la-pastiera/