21 Feb TERESA B. DI CARLO SPAGNA
Un processo vero diventa libro a futura memoria. La vita spezzata di due donne, protagoniste di due tra i più efferati delitti puniti dalla legge, segna il cammino di un uomo, che incarna la solitudine, che svolge la professione di giudice.
Un romanzo introspettivo che, attraverso i ricordi risvegliati dal bilancio di una vita nelle aule giudiziarie, riflette sul coraggio delle donne, l’abietto animo di un uomo e le mille comparse che segnano i momenti cruciali di ogni essere umano.
Il linguaggio è semplice anche nei passaggi tecnici e facile da interpretare; i tempi sono scanditi senza pesantezza: questo fa sì che si legga tutto d’un fiato. Lo stile tra il poliziesco e il giallo cattura l’attenzione del lettore sin dalle prime pagine e la storia, quella vera, diventa secondaria rispetto alla descrizione dei sentimenti e delle sensazioni, che con egregia maestria lo scrittore rende percettibili, come se il lettore fosse proiettato nella storia stessa. Il nuovo Palazzo di Giustizia e il Carcere di Poggioreale si fronteggiano quasi a sfidarsi; i quattro passi reiterati di Eppi’ nella cella in attesa del fine pena mai sono percepiti come i quattro passi di Spagna verso l’ultimo tornello d’uscita dalla vita lavorativa. I due uomini si fronteggiano nei pensieri allo stesso modo in cui mamma Teresa e Manuela si aggrappano alla giustizia. Quest’ultima, però, ne esce in parte sconfitta quando non riconosce il ristoro materiale alle figlie della vittima… e allo stesso tempo la giustizia ne esce in parte vincitrice quando riesce a punire l’assassino.
Il carcere a vita non deve recuperare il carnefice, ma costringerlo a riflettere in ogni momento sul suo senso di vendetta che gli ha distrutto la vita, sulla sua malattia fisica e mentale che lo ha portato a commettere il più atroce dei delitti, violare una bambina. Il giudice, conscio sin dal primo momento della colpevolezza (aggravata da motivi abietti e vendicativi dell’uomo), gestisce il processo con l’abilità di un regista che dirige il cast di un film, muovendosi come su un palcoscenico si direzionano i teatranti.
E poi il coraggio: quello di Manuela che, protetta da mamma, decide di non indietreggiare nonostante le pressioni e segnali di pericolo; quello di Teresa che potrebbe precipitare nella vergogna e invece alza la testa e denuncia, per poi morire; quello della società (scuola, servizi sociali, forze dell’ordine, gente di quartiere), che decide di non voltarsi dall’altra parte ma di fare il proprio dovere, onestamente e dignitosamente.
Perché leggere “Teresa B.”? Perché purtroppo è ancora attuale, non è storia passata ma vivere quotidiano. Per tenere sveglie le coscienze. Per umanizzare una società che indietreggia e volta la faccia, abbassa lo sguardo, e vive nella finzione dei social. Perché IA non può sostituire il lato umano del processo, del carcere, del violentato e del violentatore, del carnefice e della sua vittima. Perché abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi sempre che non basta guardare, si deve anche ascoltare il silenzio dei deboli, si devono umanizzare gli uomini.