A Casa di Lucia | CARCIOFI ALLA GIUDIA
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CARCIOFI ALLA GIUDIA

Andando a zonzo per Roma, nel Ghetto Ebraico, ho scoperto che la cucina Kosher rappresenta una vera e propria filosofia per gli ebrei.

Kosher significa adatto perché rimanda alle “leggi della Kasherut” comandate da Dio al popolo ebraico nel deserto del Sinai.

I dettagli furono tramandati di generazione in generazione e infine scritti nel Talmud.

Impongono all’ebreo di rendere omaggio alla sacralità della vita in ogni aspetto quotidiano, anche quando si mangia.

Un esempio lampante sono i carciofi alla giudia: foglie croccanti ed un colore dorato scuro che sul piatto fa sembrare il carciofo una specie di corona antica.

Non sembra essere affatto un piatto banale, tutt’altro: serve conoscere qualche trucco in più per gustarlo in modo più squisito.

Le massaie usavano ed usano tutt’oggi, al termine del Kippur (la giornata ebraica dedicata all’espiazione) arricchire le tavole sempre con i carciofi cucinati in questo modo.

Mangiando qualcosina nei vari ristorantini del quartiere ho scoperto anche le varie scuole di pensiero sulla genesi dei carciofi alla giudia: c’è chi sostiene siano comparsi per la prima volta sulla tavola pasquale ebraica e chi per il Kippur.

L’idea che mi sono fatta io è che il popolo di Abramo, abituato a girovagare in giro per il mondo, usava modellare la propria cucina in base alle materie prime che trovavano sul posto, tenendo fede ai principi Kosher ed adattando i ricettari familiari alle usanze locali, ottenendo così un risultato gustoso e dall’enorme valore storico ed aggregativo.

Mi è stato spiegato che, cosa fondamentale, bisogna saper “capare” i carciofi.

Armati di coltellino affilato, il carciofo deve essere tagliato partendo dalla parte più dura delle foglie, roteandolo e donandogli una forma sferica.

Perché non viene eliminata tutta la parte più dura?

La risposta della signora Sara è stata più elementare di quanto immaginassi. La frittura.

La frittura dei carciofi ammorbidirebbe anche le parti più dure.

I romani, anche non ebrei, adorano ormai questo piatto, diventato la base di ogni pranzo che si rispetti in ogni casa romana.

Celebre lo stornello del giornalista e poeta Luciano Folgore:

“Si prendono carciofi romaneschi

grossi, teneri e freschi

e si levan loro le prime foglie

poscia a quelle che restano si toglie,

mediante un affilato coltellino,

la parte dura per lasciar la molle.

Dopo aver tornito per benino

le panciute corolle,

si immergono nell’acqua d’un catino,

dal succo del limone acidulata,

poi si dà lor col panno un’asciugata,

si schiacciano un pochino sul tagliere,

si condiscon col pepe e col sale,

si mettono a giacere

nel tegame ospitale.”

E a te piacciono i carciofi alla giudia?

Per conoscere meglio il ghetto ebraico di Roma segui il link:

https://www.acasadilucia.org/2024/01/22/il-ghetto-ebraico-a-roma/

E per ricordarci l’importanza della memoria storica, perché non ci siano più ghetti, rimandiamo al romanzo “Olocaustico” di Alberto Caviglia:

https://www.acasadilucia.org/2024/01/26/olocaustico-di-alberto-caviglia/



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