A Casa di Lucia | IL GHETTO EBRAICO A ROMA
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IL GHETTO EBRAICO A ROMA

Camminando per Roma, di fianco al lungotevere, un giorno di maggio, mi sono ritrovata davanti ad un edificio maestoso e atipico.

Roma, da qualsiasi punto la si guardi, appare come una selva fitta di cupole, di chiese più grandi o minuscole tra una stradina ed un’altra.

Questo edificio, dalla cupola a padiglione, a base quadrata, dallo stile eclettico, sembrava richiamare le costruzioni sacre dell’antica Palestina, riproposto però non nella loro completa interezza, ma rispettando il contesto architettonico di Roma tutt’intorno.

Incuriosita decisi di scoprire cosa fosse questo edificio così diverso rispetto a tutto il resto. Avvicinandomi scoprii che si trattava della grande Sinagoga.

Involontariamente, passeggiando, ero finita in quello che una volta era il ghetto ebraico.

La meraviglia delle città italiane consiste proprio in questo: puoi ritrovarti a passeggiare immersa nei tuoi pensieri e d’improvviso essere catapultata in storie millenarie, affascinanti e allo stesso tempo intrise di sofferenza e nostalgia.

Il ghetto ebraico di Roma, ad esempio, non sapevo fosse il più antico d’Europa.

Infatti fu Papa Paolo VI nel luglio 1555, con la bolla “Cum nimis absurdum” a limitare i diritti della comunità ebraica dello Stato della Chiesa, imponendo così l’istituzione del ghetto. Da quel momento in poi, gli ebrei a Roma avrebbero dovuto vivere in una o più strade contigue, separate dalle abitazioni dei cristiani. Questa imposizione fu poi accompagnata da varie clausole, come il divieto di avere servitù cristiana, la possibilità di commercio solo di stracci e vestiti usati e l’obbligo di portare il cappello o il fazzoletto giallo per uomini e donne.

Lo scopo principale del ghetto doveva essere quello di accelerare la conversione degli ebrei e la dissoluzione della loro cultura, ma, come ebbe a scrivere anche Kenneth Stow (uno dei massimi esperti di storia degli ebrei italiani, di cui ho scoperto gli scritti girovagando poi per le librerie lì intorno), già prima del 1555 gli ebrei romani avevano sviluppato modelli di comportamento individuali e comunitari in grado di poterli sostenere anche nei periodi più duri. Difatti la creazione del ghetto non li indebolì affatto, tutt’altro: ne uscirono rafforzati ulteriormente, con proprie strategie di acculturazione svilupparono quindi una microcultura che ne salvaguardò l’identità attraverso i secoli.

Un gioco delle parti che possiamo ricordare ad esempio nel celebre film “Nell’anno del Signore di Luigi Magni, con il grandissimo Nino Manfredi nei panni del ciabattino ebreo, costretto a vivere nel ghetto e a ribellarsi all’autorità pontificia attraverso sotterfugi e furbizia, insieme alla sua amante Giuditta, anch’essa giudea.

Gli ebrei romani furono in grado di mettere in scena un teatro sociale in grado di farli sopravvivere, restando ebrei e romani, all’interno di un ambiente cristiano che le gerarchie ecclesiastiche avrebbero voluto dominante e oppressivo.

Nel corso della sua storia, il Ghetto verrà più volte dismesso sempre per brevi periodi, ai quali seguirono nuove reclusioni, fino ad arrivare al 1870, con la breccia di Porta Pia e la fine del dominio papale, anno in cui fu definitivamente chiuso.

La sinagoga da cui sono rimasta inizialmente affascinata è stata costruita all’inizio del XX secolo ed oggi oltre ad essere centro di riferimento religioso, ospita anche il Museo ebraico al suo interno.

Continuando a guardarmi intorno nel quartiere ebraico, ho capito che il segreto per scoprire quante più cose ancora era tentare di perdersi.

Per godersi davvero i vicoli e le peculiarità di questo posto bisogna lasciarsi trasportare dalle stradine, dai profumi, dai palazzi.

Via del Portico di Ottavia è il punto che di più racchiude l’unicità del ghetto romano, mostrando in poche centinaia di metri lo specchio variopinto dell’architettura romana, che unisce in modo impreciso stili ed epoche diverse. Il portico d’Ottavia, chiamato così per volere dell’Imperatore Augusto, è frutto di restauri e modifiche nel tempo. La parte più antica è il tempio di Giunone Regina, voluto dal Lepido, mentre quella più recente e visibile risale all’epoca di Settimio Severo

Proseguendo per la via, si possono vedere abitazioni con stili diversi, che in qualche modo si amalgamano creando un unico filo immerso nella storia.

Alcuni scorci del ghetto hanno ancora i resti delle case abitate dagli ebrei, a dimostrazione  ancora una volta dell’incredibile capacità di Roma di custodire trame di storia, creando linee bellissime ed incoerenti, cercando di far respirare ogni angolo, tentando di dare spazio a tutte le voci che l’hanno vissuta.

Uscendo dal quartiere ebraico non si può far a meno di notare le pietre di inciampo, a ricordo di quanto questo popolo sia stato costretto a subire nel corso del secondo conflitto mondiale.

Come dicevo all’inizio di questo viaggio, visitare Roma ed il quartiere ebraico non è solo piacevole ma lascia addosso sensazioni di nostalgia, malinconia e tristezza per un popolo da sempre migrante e sofferente che, nelle avversità, ha saputo riscattarsi e crearsi degli spazi particolari e affascinanti.

Prepara uno dei piatti tipici della cucina Kosher seguendo questo link https://www.acasadilucia.org/2024/01/24/carciofi-alla-giudia/ ‎

 

Consigliamo anche di leggere il romanzo di Alberto CavigliaOlocaustico“, per non dimenticare l’importanza della memoria storica, perché non ci siano più ghetti:

https://www.acasadilucia.org/2024/01/26/olocaustico-di-alberto-caviglia/



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