20 Dic -5 AL NATALE: “A Christmas Carol”: un viaggio nelle tradizioni natalizie di epoca vittoriana
C’era una volta una parte di Londra dalle strade fumose, dall’aria pesante di carbone, dagli acciottolati sbilenchi e sporchi, dalle case di mattoni rossi tutte uguali, senza luci e senza aria.
C’era un’altra parte, invece, dalla quale svettavano, imponenti, palazzi maestosi ed eleganti, dal gusto vittoriano, che, arroganti, dalla zona di Belgravia in poi dichiaravano al resto dell’impero chi è che comandasse realmente.
In questa Londra imperiale, maestosa ed aristocratica ma anche drammaticamente povera e sovrappopolata da persone immerse nella povertà più assoluta, un uomo semplice, dalle origini umili s’impone come cantore per eccellenza di quest’epoca.
Charles Dickens, che aveva patito la povertà ed il profondo senso di emarginazione dei poveri dell’epoca, per ricompensarsi delle profonde ingiustizie patite iniziò a scrivere una serie di racconti dopo aver intrapreso il mestiere di giornalista.
Scriveva di un mondo popolato di ingiustizie, una società nettamente bipartita nella divisione tra ricchi e poveri, ma non mancava mai di lasciare aperto uno spiraglio di speranza.
“Oliver Twist”, “David Copperfield”, “Tempi difficili”, “Grandi speranze”, “Le due città”, tutti racconti nei quali sono ritratti personaggi indimenticabili ed altri minori, ma non meno caratterizzati, divenuti veri e propri topoi letterari.
In “Canto di Natale”, Dickens, riesce a dar vita ad una a fiaba che vede le sue radici nei morality plays medioevali (si pensi ad Everyman di epoca tardo-medievale) e nel gusto gotico di fine Settecento.
Ma, cosa ben più importante per noi, riuscì a dar vita ad una fiaba divenuta ben presto leggenda.
“Quanto è vero Dio, sono tanto belli e mi sento tanto bene dopo averli letti”
disse Robert L. Stevenson a un amico a proposito dei cosiddetti Christmas Books di Charles Dickens….
Quando nel 1843 “A Christmas Carol” venne pubblicato, in un’edizione illustrata, con la costa di un rosa delicato, scritte in oro e illustrazioni colorate a mano, fu un successo strepitoso.
Il racconto inizia esattamente il giorno della vigilia di Natale: è un giorno freddissimo e mentre per qualcuno è il piú bello dell’anno, per il vecchio Ebenezer Scrooge, impenetrabile e solitario, è semplicemente «il momento in cui scopri di essere piú vecchio di un anno, ma povero come prima».
Verso sera, riflesso nel batacchio della porta, Scrooge scorge il volto spettrale di Marley, suo antico socio morto da ben sette anni!
Lo spirito del vecchio socio gli preannuncia la visita di altri 3 spiriti che lo accompagneranno tra i Natali passati, in quello presente e in quelli futuri.
Un po’ incredulo, Scrooge accetta l’avvertimento ma non sa ancora cosa lo aspetta.
Quello che si trova a compiere è un viaggio tra la povertà, l’analfabetismo e lo sfruttamento minorile, di cui è stato vittima lui per primo e che cerca disperatamente di denunciare, attraverso una commovente panoramica della società vittoriana dell’epoca, colpita dalla Poor Law, che doveva favorire i meno abbienti e invece li aveva colpiti ancora più duramente.
Una critica, quella di Dickens, molto velata, nascosta sotto le mentite spoglie di un racconto fantastico, che ci porta dritti nel cuore dello spirito natalizio.
Dickens mostra senza filtri quanto possa essere penoso un Natale per chi non ha famiglia, lavoro o un tetto sulla testa e quanto, parimenti, possa esserlo per chi ha tutto ciò di cui ci si possa circondare ma non la predisposizione d’animo.
Scrooge l’ha persa o comunque non ci crede da tantissimo tempo.
Il nipote Fred, che pur non essendo ricco quanto Scrooge si ripromette di invitare ogni anno lo zio a festeggiare con la sua famiglia nonostante egli sia contro il Natale, è sinonimo di quella temerarietà che spesso paga.
«[…] ho sempre pensato al Natale come a un tempo buono; un tempo gentile, clemente, caritatevole, giocondo: l’unico tempo che io conosca, nel lungo calendario dell’anno, in cui sembra che uomini e donne unanimemente aprano in libertà i loro cuori serrati, e guardino ai più poveri di loro come se davvero fossero compagni nel cammino che porta alla tomba, e non creature di un’altra razza destinate ad altri viaggi. E pertanto, zio, sebbene il Natale non mi abbia mai messo in tasca una briciola d’oro o d’argento, sono persuaso che di bene me ne ha fatto e me ne farà; e perciò, che Dio lo benedica!».
Comincia cosí una nottata di apparizioni e di eventi soprannaturali che cambierà il suo animo e la sua vita per sempre.
Se Dickens fu un maestro del racconto delle classi più disagiate e povere ma anche della loro possibile redenzione, è anche vero che la società britannica dell’epoca non era solo questo.
Mentre le classi povere stentavano ad emergere e a vivere decentemente, la classe emergente borghese dava vita ad uno stile di vita di lungo corso.
Siamo difatti propensi ad immaginare il natale con le case ricolme di decorazioni, con l’albero ed il presepe.
In realtà l’albero divenne protagonista e ornamento essenziale nelle case dei più benestanti proprio in questo periodo e proprio nella Londra del diciannovesimo secolo.
Fu la Cassell’s Family Magazine, verso la fine del secolo, a suggerire come decorare la casa: non più rametti a caso, ma addobbi simili e organizzati in posizioni specifiche della casa.
Dal vischio sotto cui baciarsi, all’agrifoglio financo ai dolci con cui rimpinzarsi e profumare la casa.
Successe oltretutto proprio in quegli anni che, una delle dame di compagnia della Regina Vittoria, lamentasse un certo appetito nelle ore che intercorrevano tra il pranzo e la cena, motivo per cui fu deciso di proporre alla monarca uno spuntino nel tardo pomeriggio: dei pasticcini accompagnati con una bevanda calda e gustosa.
Immediatamente la moda del tè pomeridiano si diffuse a macchia d’olio: iniziarono a spuntare dappertutto tazze di porcellana dipinte a mano, teiere fumanti al centro della tavola apparecchiata con cura e imbandita con le delizie più disparate, dai tramezzini con il cetriolo agli scones, panini burrosi spalmati di confettura e clotted cream, una panna densa e corposa (ed estremamente golosa e calorica) ottenuta dal riscaldamento indiretto del latte intero; e anche tovaglie ricamate, servizi d’argento preziosi, e una generosa fetta di Victoria sponge, la torta di pan di Spagna farcita con panna fresca, confettura e fragole…
A quanto pare, la regina era amante del buon cibo e della buona tavola, ma soprattutto dei sapori autentici. Fra le sue grandi passioni, infatti, il cibo da strada, in particolare quello tedesco, considerata l’ascendenza dal casato Hannover.