05 Ago NORWEGIAN WOOD
Leggere la letteratura giapponese è immergersi in un mondo altro, rallentato, fatto di rituali, costumi, musiche tipiche suonate da strumenti antichi, un mondo ovattato fatto di gesti e modi lontani dalla nostra cultura. O almeno è sempre stato cosi fino al 1987, quando con “Norwegian Wood” Murakami ha segnato un punto di rottura. Il mondo con cui entriamo in contatto è quello di un giovane nel periodo tra i 17 e i 22 anni, ricordato attraverso un lungo flashback del protagonista ormai adulto, innescato proprio dall’ascolto casuale del brano dei Beatles che dà il titolo al romanzo . Ambientato negli anni a cavallo del ‘68, questo mondo risulta profondamente occidentalizzato, perneato com’è di musiche moderne (non solo Beatles, ma anche Bob Dylan, Ray Charles, Simon & Garfunkel, per esempio) e di citazioni letterarie (innanzitutto “Il grande Gatsby” di Fitzgerald, così come “Il giovane Holden” di Salinger e “David Copperfield” di Dickens). È un mondo in cui si parla schiettamente di sesso, di disturbi mentali e di suicidio. Un mondo di rivolte studentesche, di politica, di scuole e università, di malinconia e disorientamento.
“Però, comunque siano ridotti, sono l’unica cosa che possiedo. Così continuo a scrivere tenendoli stretti, questi ricordi imperfetti che si fanno sempre più sbiaditi ogni istante che passa, con l’impressione di succhiare un osso spolpato. Ma è l’unico modo che ho di mantenere la promessa fatta a Naoko.”
Tutto ruota infatti attorno al rapporto del protagonista, Tōru, con Naoko. Quest’ultima era la ragazza del suo migliore amico, morto suicida a 17 anni. Dal comune dolore, dalla vicinanza che ne consegue, nasce un rapporto delicato e allo stesso tempo burrascoso, dove la componente fisica avrà un intenso exploit nella notte del compleanno di Naoko per poi arenarsi di fronte alla malattia mentale della ragazza, che la allontanerà sempre più dalla vita. Lo scontro profondo a cui si assiste è quello del passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, espresso fondamentalmente nel conflitto tra il desiderio di allinearsi al comportamento comune per non risultare dei perdenti agli occhi degli altri e quello di essere se stessi a qualsiasi costo. Il processo di crescita si complica ulteriormente quando compare una seconda ragazza nella vita di Tōru, Midori, che sembra il contraltare di Naoko: tanto quest’ultima appare eterea, diafana, silenziosa, quasi staccata dalla vita terrena (tanto infatti da rinunciarci volontariamente), tanto Midori è fisica e concreta, discute, cucina, fa sesso e ne parla senza pudore, fuma, beve e trascina il protagonista nella sua quotidianità così diversa e intensa.
Sullo sfondo musiche e romanzi occidentali, a far da colonne portanti a questa crescita, difficile e necessaria. E guidato da essi Tōru, incapace di scegliere, si farà quasi trascinare dal destino, in un clima di malinconia continua da cui il lettore si sente come cullato.
Chiunque si approcci a “Norwegian Wood” non può rimanerne indifferente. Può vivere le emozioni che si susseguono come le proprie, può provare empatia o repulsione, può arrivare alla fine delle pagine senza capacitarsi di averle fagocitate, di essersi immerso per uscirne diverso, oppure può voler chiudere disgustato la copertina del libro e non voler proseguire. Perché vedersi sbattute in faccia le debolezze della nostra umanità, i vizi, i piaceri, le malattie fisiche e mentali, le nostre incapacità, le nostre falsità, vedere nero su bianco che non si salva nemmeno quella nicchia di tradizione quasi magica che per molti è la letteratura orientale, può colpire più a fondo di quanto si immagini dei nervi scoperti. Perché in effetti siamo tutti umani. E Murakami lo mostra senza veli.
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