Ad appena 37 anni, G.H. Hardy è considerato uno dei più promettenti matematici del suo tempo. Una mattina di gennaio del 1913 il brillante studioso, ormai cattedratico a Cambridge, riceve da uno sconosciuto ammiratore della sua opera una lettera in cui, con ogni evidenza, si cela un eccezionale talento. L’autore della missiva, un umile contabile di Madras di nome Srinivasa Ramanujan, dichiara tra le altre cose di possedere la soluzione di un importante e complesso problema matematico che lo stesso Hardy aveva impostato in un suo scritto, senza essere in grado di risolverlo. Inizialmente scettico, Hardy decide tuttavia di crearsi l’occasione di un viaggio in India, in compagnia di alcuni amici, allo scopo di conoscere il misterioso impiegato. Al suo arrivo troverà un giovane che, pur essendo stato incapace nella sua vita di condurre a termine un vero e proprio corso di studi, possiede un genio assoluto per il calcolo. Da quel giorno tra Hardy e Ramanujan nascerà un intensissimo rapporto di collaborazione che con il tempo, e soprattutto in seguito al trasferimento di quest’ultimo in Inghilterra, sfocerà in una difficile e contrastata relazione d’amore. Dipanando con la sapienza del grande narratore un episodio cruciale della storia del pensiero matematico, Leavitt esplora nel suo nuovo, avvincente romanzo temi cruciali come il genio e l’identità, disegnando la complessa dinamica umana e culturale tra due uomini, l’uno convinto che la matematica altro non sia che la rigorosa verifica di verità relative, l’altro imbevuto dell’orientale, suggestiva certezza che i numeri invece sono gli scintillanti riflessi della metafisica.