«E se non saremo noi a vederla trionfare, e se non sarà da noi e avrà altri nomi forse, altri modi, chissà dove, duecento, trecento, mille anni, vedrete: la trionferà».
Essere comunisti a Cavriago voleva dire usare testa e mani per costruire tutti assieme il proprio cinema, la propria balera, il proprio futuro, in nome dell’emancipazione dell’umanità. Ma anche spedire un telegramma a Lenin e nominarlo sindaco onorario, scontrarsi coi cattolici per il film su Peppone e don Camillo, disperarsi per la morte di Stalin, servire lambrusco e rane fritte alla festa dell’Unità. Essere comunisti era prima di tutto un sentimento: sapere di essere dalla parte giusta del mondo. Massimo Zamboni ci accompagna in questo viaggio nel tempo, a partire da quella piccola Pietroburgo nostrana dove ancora oggi campeggia il busto di Lenin, facendoci precipitare in un’epoca in cui tutto sembrava possibile, persino la rivoluzione.
Attraverso la storia incredibile di una terra dove la fedeltà al Partito era sacra e il vento dalla Russia soffiava forte, Massimo Zamboni fa i conti con la grande utopia del Novecento in modo davvero originale: al centro di questo appassionato racconto corale, ci sono l’Emilia e la cittadina di Cavriago, e le peripezie dei suoi abitanti. Quando nel 1919 spedirono un telegramma di solidarietà alla Russia rivoluzionaria e qualche mese dopo, nel giorno della fondazione dell’Internazionale comunista, Lenin nel suo discorso lodò il coraggio di «quell’angolino sperduto», che aveva cercato invano sulla carta geografica. O quando parteciparono alla «conferenza del secolo» al teatro di Reggio Emilia: un dibattito sull’opportunità di concedere l’autorizzazione alle riprese del film su Peppone e don Camillo. O quando, nel 1970, inaugurarono con «un brivido di commozione» il busto di Lenin nella piazza del paese, davanti a una delegazione ufficiale del Pcus. Per poi saltare fuori dai loro letti caldi a montare la guardia al monumento di bronzo minacciato da qualche tentativo di decapitazione. Sognatori e realisti, gente con la testa dura e un senso fortissimo di fratellanza, i protagonisti di questa storia sono donne e uomini dall’inesausta passione politica, cittadini del grande mondo, nelle cui vicende c’è tutta la forza e la persistenza, infine la nostalgia, di quello slancio ideale, folle e meraviglioso che li faceva sentire di essere dalla parte giusta. Con «una dose di commozione, una di sarcasmo, una di pratico ed emiliano senso di disincanto», Massimo Zamboni ha spesso scritto e cantato la dissoluzione di quel tempo, ma qui ce lo spalanca di fronte agli occhi intatto e pieno di vita, di rabbia e struggimento, regalandoci l’epica di una memoria da cui ripartire, l’epica di una terra dove la bandiera rossa sventolava piú in alto di tutti.