È noto come Gramsci trascorse il primo periodo della sua cattività. Rinchiuso a Regina Coeli, l’8 novembre 1926, viene assegnato per cinque anni al confino di polizia; il 5 dicembre del 1926 raggiunge Ustica – dove organizza con Bordiga e altri compagni una scuola per i confinati – ma deve ripartire – colpito da mandato di cattura e ammanettato – già il 20 gennaio del 1927: gli è che si sta allestendo, da parte del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, il famigerato “processone” contro i dirigenti comunisti al quale Gramsci comparirà come uno degli imputati maggiori. L’istruttoria è condotta dal tribunale militare di Milano: Gramsci giunge a San Vittore, il 7 febbraio, dopo un tremendo viaggio in “traduzione ordinaria” di diciannove giorni, e resterà nel carcere milanese fino all’11 maggio del 1928. Si trovano nello stesso carcere, ma rigorosamente separati l’uno dall’altro. gli altri due maggiori dirigenti comunisti sotto processo: Mauro Scoccimarro e Umberto Terracini. Quest’ultimo riesce clandestinamente a informare il partito del corso dell’istruttoria, una montatura creata per avallare l’obbrobrio giuridico di considerare la legislazione eccezionale introdotta con il 5 novembre del 1926 retroattiva per un tempo in cui il partito comunista – pur bersagliato di arresti e di repressioni – era però ancora legale e aveva suoi rappresentanti – tra cui lo stesso Gramsci – in parlamento.