Diario di un uomo a disagio, nato durante un felice «esilio a Tomi» in cui l’Autore fu relegato dalla banca per la quale lavorava, può essere letto come l’apprendistato saggistico del futuro romanziere o viceversa come una sorta di romanzo inconscio, che scorre sotterraneamente attraverso una raccolta di saggi.
Né può essere casuale l’affermazione dell’Autore che proprio di questo non-romanzo ha detto: «Tra i miei libri, è quello che amo di più».
Giampaolo Rugarli è noto ai lettori esclusivamente come narratore, attraverso tre romanzi nei quali il dono dell’ironia e il senso del grottesco si uniscono a una dolorosa esperienza della vacuità della vita.
Questo libro rivela e racconta, in una serie di scritti che pur non essendo né autobiografici né narrativi nell’accezione comune l’Autore ama definire «fogli di diario» o «racconti travestiti da saggi», un altro Rugarli: un uomo di vastissime e appassionate letture (dagli scrittori inglesi del Sette e Ottocento alla letteratura di consumo e persino ai fumetti, dagli economisti ai filosofi), di interessi «inattuali» o al contrario precisamente collocati nel tempo (dal motivo di una canzone in voga la ricostruzione della storia di un sentimento). Ma rivela soprattutto un Rugarli «saggista», nel senso che Montaigne attribuì alla parola (di esperienza e insieme di tentativo), un uomo cioè che si orienta nel suo tempo attraverso un uso «libero» della cultura e dell’intelligenza, scavalcando gli steccati eretti a difesa delle discipline accademiche.