La storia in fondo sarebbe semplice e anche poco originale: una popolana diventa l’amante del più ricco e potente della città e, con invidia di molti e scandalo dei benpensanti, dura finché dura.
Invece Bevilacqua, in questo suo primo romanzo scritto nel 1964, riesce a renderla unica, calandola nella sua Parma dei primi anni ‘60 e portandola a emblema di un riscatto sociale, con sullo sfondo la lotta delle classi povere contro lo strapotere dei padroni.
La Califfa è una bellissima ragazza di origine popolare che diventa l’amante di Annibale Doberdò: l’industriale più potente della città, una sorta di Mastro-don Gesualdo, autorevole e spregiudicato. Memorabile ritratto di donna libera, sana di fondo e, a suo modo, innocente. La Califfa è un’amante senza servilità nella cui schiettezza amorosa l’industriale ritrova, in un punto nevralgico della sua esistenza, una voglia nuova di vita e la sua stessa libertà. Contro questa relazione si armano tutti i potenti della sua corte, ma sarà solo la morte improvvisa di Doberdò a stroncarla. E la Califfa tornerà nel suo quartiere d’origine, sola, ma con la coscienza di aver contribuito a trasformare, oltre che l’anima e l’intimità di un uomo, l’aspetto sociale di una città.