Romanzo che si iscrive nella tradizione della grande narrativa americana di frontiera, I frutti del vento è un’opera in cui Tracy Chevalier penetra nel cuore arido, selvaggio e inaccessibile della natura e degli uomini, là dove crescono i frutti più ambiti e più dolci che sia dato cogliere.
Nella prima metà del XIX secolo James e Sadie Goodenough giungono nella Palude Nera dell’Ohio, una landa desolata dove l’acqua puzza di marcio, il fango si appiccica alla pelle e ai vestiti e la malaria d’estate si porta via sempre qualcuno. In quella terra, tuttavia, James decide di costruire la sua casa di legno e di piantare i suoi meli: un magnifico frutteto di cinque file di alberi col piccolo vivaio in disparte. Un frutteto che diventa la sua ossessione, la prova, ai suoi occhi, che la natura selvaggia della terra, con il suo groviglio di boschi e pantani, si può domare.
La malaria si porta via cinque dei dieci figli dei Goodenough e spinge Sadie a bere troppa acquavite. Quando John Chapman, l’uomo che procura i semi delle piante alle fattorie, si ferma a cena, Sadie diventa troppo ciarliera, e James la vede con altri occhi: scorge il turgore dei seni sotto il vestito azzurro, i fianchi rotondi e sodi nonostante i dieci figli. Ma poi non se ne cura.
Finché, un giorno, la natura selvaggia non della terra, ma di Sadie esplode e segna irrimediabilmente il destino dei Goodenough nella Palude Nera, in primo luogo quello di Robert, il figlio dagli occhi d’ambra quieti e intelligenti, e della dolce e irresoluta Martha.