Il sequestro di Aldo Moro ha segnato la fine della Repubblica dei partiti. Marco Damilano torna su quell’istante, le nove del mattino del 16 marzo 1978, in cui il presidente della Dc fu rapito e gli uomini della sua scorta massacrati. Fu l’inizio di un dramma nazionale e di una lunga rimozione. Un viaggio nella memoria personale e collettiva, nei luoghi, nelle correlazioni con altri protagonisti di quegli anni come Sciascia e Pasolini. Le carte personali di Moro rimaste finora inedite, le foto, i ritagli, gli scambi epistolari con politici, intellettuali, giornalisti, persone comuni. La ricostruzione della sua strategia e della sua umanità, strappata all’immagine di prigioniero delle Brigate rosse e restituita al ruolo politico di chi aveva capito meglio di tutti l’Italia, “il paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili”, e la debolezza del potere. Dopo l’assassinio di Moro, il 9 maggio, al termine di 55 giorni di tragedia, sono arrivate la morte di Berlinguer, la dissoluzione della Dc, Tangentopoli e la latitanza di Craxi in Tunisia. Fino all’ultima stagione, con la politica che da orizzonte di senso per milioni di italiani si è fatta narcisismo e nichilismo, cedendo alla paura e alla rabbia. Per questo la voce di Moro parla ancora, come aveva previsto lui stesso: “Io ci sarò come un punto irriducibile di contestazione e alternativa”.