Considerato il romanzo capostipite del realismo socialista, “La madre” descrive con garbato riguardo la progressiva emancipazione di una contadina inurbata, Pelageja Nilovna Vlasova, attraverso la sua formazione politica a opera del figlio Pavel, operaio rivoluzionario nella Russia zarista dei primissimi anni del Novecento.
La madre, vissuta nel terrore costante della violenza di un marito alcolista, diventata vedova, inizia a temere per l’incolumità del giovane figlio, che trasforma la casa in un ritrovo di dissidenti e socialisti. Con rigore e profondità Gor’kij mostra, in un simbolico ribaltamento dei ruoli, come un figlio aiuti la madre a trovare il suo posto nel mondo, indicandole la via per emergere dal limitato cerchio di ansie e rassegnazioni che ha sempre conosciuto e accedere così a quel più alto livello di consapevolezza che rende tutti gli uomini figli. Il legame intenso tra la madre e Pavel, uniti nei valori della ragione e della verità, è al centro di questa epopea umana cui il vasto popolo degli umili contribuisce fornendo figure di un eroismo semplice, quotidiano, che si ribella senza paura ai poteri dell’oppressione e della disuguaglianza.
“Che significa “morto” ? Che cosa è morto? Forse è morto il mio rispetto per Iegòr, il mio amore per lui come compagno, il ricordo del suo lavoro? Sono forse morti i sentimenti che mi ha suscitato in cuore, è distrutta l’immagine che ho di lui, uomo onesto e coraggioso? Il meglio di lui non morirà mai in me, ne sono sicura. Mi sembra che noi affermiamo troppo facilmente la morte di una persona: sono morte le labbra, ma le parole vivranno per sempre nei nostri cuori.”