Composto al tramonto del 1912, ma pubblicato solo nel ’15, questo racconto lungo dello scrittore boemo è universalmente considerato uno dei massimi esiti dell’espressionismo di lingua tedesca: mette in scena, fra l’altro, molte delle più amare oppressioni e contraddizioni dell’uomo contemporaneo, inesorabilmente, irreversibilmente condannato alla solitudine.
In un ambiente piccolo-borghese dominato da una quotidianità perlopiù meschina, si sviluppa la vicenda, insieme assurda e drammaticamente reale, del commesso viaggiatore Gregor Samsa, che una mattina, dopo una notte piena di incubi, si risveglia trasformato in un mostruoso, enorme scarafaggio. La ripugnanza che suscita nei familiari riduce via via il protagonista ad un’ambigua, segregata forma di esistenza, sempre più esclusa e respinta dal contesto. Viene meno in lui anche la speranza di un ritorno alla condizione precedente, finché una sera il padre, colpendolo, lo ferisce gravemente. Quando infine muore, la famiglia prova evidente sollievo, un indubbio senso di liberazione.
“Alcune volte, nella disperazione della spossatezza fisica, ero sul punto di abbandonare tutto, mi mettevo supino maledicendo la costruzione, mi trascinavo fuori e la lasciavo lì aperta.”