APPLAUSI A SCENA VUOTA
Un uomo in scena. Un uomo in platea. In mezzo il medesimo mondo pensato da due punti di vista diversi.
Cosa prova un attore in scena? Quale magico fluido o meglio gioco si insatura tra l’attore e gli spettatori? E se poi la storia è una deriva di vita?
Description
Il palcoscenico è deserto. Il grido echeggia da dietro le quinte. Il pubblico in sala a poco a poco si zittisce. Un uomo con gli occhiali, di bassa statura e di corporatura esile, piomba sul palco da una porta laterale. Signore e signori un bell’applauso per Dova’le G.! C’è qualcosa di strano nella serata. Tra le sedie c’è un intruso, trascinato fino a quella cittadina poco raccomandabile da una telefonata inattesa: è l’onorevole giudice Avishai Lazar, amico d’infanzia di Dova’le. Deve giudicare la vita intera di quello che, lo ricorda solo ora, era un ragazzino macilento e incredibilmente vivace, con l’abitudine stramba di camminare sulle mani. Dova’le sul palco si mette a nudo, e imprigiona la sala nella terribile tentazione di sbirciare nell’inferno di qualcun altro. Nella storia di un bambino che camminava a testa in giù e da quella posizione riusciva ad affrontare il mondo. Un ragazzino che al campeggio paramilitare viene raggiunto dalla notizia della morte di un genitore e deve partire per arrivare in tempo al funerale. Ma chi è morto? Nessuno ha avuto il coraggio di dirglielo, o forse lui non ha compreso. Il giovane Dova’le ha un viaggio intero nel deserto per torturarsi con l’angoscia di un calcolo oscuro che gli avvelena la testa. Mio padre o mia madre? Ora eccolo, quel ragazzino, ancora impigliato nell’estremo tentativo di venire a capo di quella giornata lontana, ancora incapace di camminare dritto.