Una ragazzina di undici anni generalmente non ha vita facile, tanto più se non corrisponde a certi canoni estetici. Peggio ancora se ha una madre troppo bella e perfetta, per la quale tutto è così volgare, e un padre – adorato e assente – deluso da una figlia alla quale non si è trasmesso il gene materno delle belle gambe. Il suo destino è indissolubilmente legato al responso della bilancia. Senza una silhouette da concorso, Laura non sarà mai una donna vera. Lei è un prodotto difettoso, una spiacevole disarmonia. Straniera in terra straniera, la sua condanna è aspettare. Aspettare che la madre si accorga di lei, ma di lei com’è veramente. Aspettare che il padre rientri dal lavoro e le dedichi un po’ d’attenzione, almeno quanta ne riserva all’amato gioco degli scacchi. Prigioniera di uno stallo interiore nell’attesa di qualcosa che non accadrà, di qualcuno che non verrà, Laura è una fragile piuma in balia del vento. Incompresa e sola, di fronte all’insostenibile leggerezza dell’essere grassa.