Ogni lettore dovrebbe prendere tra le mani questo libro, per non dimenticare tutte le atrocità del colonialismo. Uomini rapiti dalla propria terra, l’Africa, picchiati, torturati, venduti, per poi finire in America come schiavi, quegli stessi uomini fieri delle proprie “radici” che non hanno mai rinnegato. Ogni famiglia dovrebbe scrivere un libro con la propria storia e tramandarlo di generazione in generazione, sarebbe un tesoro di un valore incommensurabile.
Premio Bancarella 1978. Nella seconda metà del Settecento il giovane Kunta Kinte viene strappato dal villaggio africano nel quale era vissuto fino a quel momento e portato in America: qui vivrà sempre come schiavo. E’ un mondo diverso, ed è l’inizio di una vita diversa per lui e per Beli, la donna (anche lei schiava) che ha incontrato nella piantagione e sposato, e per i loro discendenti: Kizzy, Chicken George, Tom Murray e tutti gli altri, fino a giungere ad Alex Haley, scrittore, che ha narrato in questo libro la storia della sua famiglia. Il racconto di Haley è la saga di tutti gli americani di pelle nera che, senza eccezioni, discendono da qualcuno come Kunta.
FRASI TRATTE DAL LIBRO
“La prima volta che aveva accompagnato il padrone a queste feste si era sentito sopraffare da emozioni contrastanti: soggezione, indignazione, invidia, disprezzo, attrazione e repulsione… ma soprattutto era stato preso da un senso di profonda solitudine e malinconia che gli durò per giorni e giorni. Non riusciva a credere che esistesse una tale ricchezza, che davvero ci fosse gente che viveva fra tanti lussi. Poi capì, vagamente, che quel lusso era qualcosa di irreale, una specie di splendido sogno in cui i bianchi si calavano, una menzogna che raccontavano a sé stessi, illudensodi che dal male potesse nascere il bene, che si potesse esser civili fra bianchi e al tempo stesso trattar barbaramente coloro la cui fatica e il cui sangue rendevano possibile la vita di privilegi da essi condotta.”
“Sta’ a sentire. In cima all’ombrello del capo degli Akan c’era scolpita una mano che teneva un uovo. Quell’uovo era il simbolo di quanto stava attento, il nostro capo, nell’usare il suo potere. E l’uomo che parlava per il capo teneva in mano un bastone. Su questo bastone c’era scolpita una tartaruga. La tartaruga voleva dire che la prima virtù è la pazienza. E sopra il guscio della tartaruga c’era scolpita un’ape. E l’ape significava che nulla può trafiggere il guscio d’una tartaruga.”
“…dopo aver spento la candela afferrò una mano di Kunta e se la posò dolcemente sul ventre. Kunta sentì qualcosa muoversi sotto la mano, e balzò dal letto fuori di sé dalla gioia.”