Non aspettatevi un romanzo rosa ma bensì una storia in cui si narra la disperazione dei segregati, la crudeltà dei sorveglianti, in un ambiente incolore dove spicca maestoso un salone fiabesco, unico angolo in cui potrebbe nascere qualcosa di bello!
Inghilterra, 1911. In un manicomio al limitare della brughiera dello Yorkshire (ispirato al manicomio in cui fu degente il nonno della scrittrice) dove uomini e donne vivono separati gli uni dagli altri da alte mura e finestre sbarrate, c’è una sala da ballo grandiosa ed elegante, con tanto di palcoscenico e orchestra. In questo luogo sognante e raffinato, i pazienti si ritrovano una volta alla settimana per danzare: qui hanno la possibilità di sentirsi liberi, di mostrare i sentimenti, di muovere i loro corpi in libertà. I desideri lungamente messi a tacere tornano ad agitare con prepotenza i cuori dei protagonisti. Proprio nella sala da ballo Ella Fay, una giovane operaia ricoverata contro la sua volontà per una crisi isterica, conosce John Mulligan, un uomo dalla sensibilità fuori del comune, che soffre di depressione in seguito a un trauma. Complice del loro incontro è Clem, una paziente affetta da manie suicide, che aiuta Ella a leggere i messaggi di John. A occuparsi di loro c’è il dottor Fuller, un medico ossessionato dall’eugenetica e fermamente convinto che la musica e la danza possano aiutare nella cura delle malattie psichiatriche. Quattro personaggi che intrecciano le loro storie in un affresco originale e carico di significati profondi: i loro dolori e le loro frustrazioni sono anche i nostri, come pure la danza liberatoria, il coraggio di gridare, la voglia di cambiare.
“Ci sono tre modi per uscire da qui. Puoi morire… Puoi fuggire… Oppure puoi convincerli che sei abbastanza sana per andartene.”