
02 Apr CONSAPEVOLEZZA SULL’AUTISMO
Oggi, 2 Aprile, ricorre la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo e il nostro blog In Tutto Liber di “A casa di Lucia”, attraverso la comunicazione, vuole aumentare l’attenzione e la consapevolezza sull’autismo promuovendo l’inclusione e la comprensione.
Per questo abbiamo deciso di dar voce a due persone che ci possano far capire meglio alcuni aspetti dell’autismo perchè lo vivono da vicino.
INTERVISTA AD UNA PERSONA AUTISTICA
– Cos’è davvero l’autismo?
E’ molto importante dare spazio a quello che è effettivamente l’autismo, che è opposto alla percezione collettiva. Quest’ultima è molto condizionata da luoghi comuni che vengono alimentati da una superficialità, la stessa superficialità che si ritrova quando erroneamente pensiamo che qualcosa sia diverso da noi e quindi non abbia un motivo di considerazione.
Da persona autistica e specializzata nel supporto a persone disabili, con un particolare interesse rispetto al progresso sociale, inizio nel dire che l’autismo è una neuro divergenza che dipende da fattori genetici e ambientali, influenzando lo sviluppo del cervello già durante la gravidanza. La diagnosi non si basa sulle cause, ma sulle ripercussioni, ed è fatta attraverso osservazioni cliniche e test, visto che non esiste ancora un esame specifico per identificarlo. Si guarda principalmente a due aspetti: l’area sociale/comunicativa, che riguarda il modo in cui una persona interagisce con gli altri, e l’area dei comportamenti ripetitivi e degli interessi ristretti, che include routine rigide, passioni molto specifiche e sensibilità particolari agli stimoli.
Come si può dedurre, essendo una condizione, questi criteri sono molto generici e quindi non è possibile avere uno stereotipo della persona autistica, proprio perché c’è un ampio range dove rientrano varie tipologie di menti. Questo perciò, proprio partendo dall’assunto che la condizione autistica è una parte dello spettro della mente umana, e che quindi ogni persona ha una sua unicità, quest’ultima caratteristica è anche associata all’autismo. Infatti, per mia esperienza, ogni persona autistica che ho conosciuto è effettivamente unica con le sue specificità.
– E allora facci capire: dov’è la differenza?
La differenza sta nella compromissione di queste due aree e nella specificità della mente dove sono accentuate certe caratteristiche che basilarmente hanno tutti. In effetti, più ci si avvicina alla “norma”, più è difficile fare una diagnosi proprio perché fa parte di uno spettro, cioè di uno stesso insieme. La ricerca dice che gli autistici potrebbero essere molti di più rispetto a quelli diagnosticati. Infatti, negli ultimi 10 anni le diagnosi sono salite esponenzialmente. Il termine “autismo” ormai ha preso un significato distante da quello che effettivamente significa.
Tra l’altro, la parola, secondo il mio punto di vista, dovrebbe essere utilizzata solo dai professionisti per identificare determinate caratteristiche che, seppur generiche e ampie, sono comunque definibili in certa misura. Le persone dovrebbero parlare del problema in una determinata area, solo così si può eliminare uno stereotipo. Lo spettro autistico ha vari livelli e rientra nello spettro più grande della mente umana. Qui non si sta parlando di malattia o sindrome, ma si sta parlando di una condizione che quindi rientra a tutti gli effetti nella varietà della mente umana, perché è parte della diversità umana e non qualcosa di “altro” rispetto alla norma.
– L’ignoranza purtroppo va di pari passo con l’aggressività: hai incontrato persone che ti hanno bullizzato o emarginato? Come hai reagito?
Prima di rispondere, devo specificare che io non ho avuto nessuna diagnosi fino ai 29 anni. Non posso dire che mi hanno bullizzato per la mia neurodivergenza, ma posso dire, come tutti, di aver subito bullismo e di essere stato a volte emarginato. A volte non è l’autismo, ma la mancanza dell’intervento psicoterapico che può far insorgere delle comorbilità. Sono proprio queste ad accentuare le problematiche e a frenare la persona. Quando non si ha una diagnosi, la persona X e alcuni professionisti non si accorgono della differenza tra una mente autistica e una non autistica, specialmente quando si hanno solo delle particolarità, come nel mio caso. Infatti, al massimo si focalizzavano su alcuni aspetti della mia personalità. Diversamente, i casi più gravi (che non sono per forza correlati a deficit cognitivi) sono più identificabili.
Ho avuto diverse reazioni che sono dipese dal contesto, dal momento che stavo vivendo e dal grado di relazione con la persona/e. Sicuramente, di fondo, mi sentivo a disagio, ma era solo un focus su un mio determinato aspetto.
– Le tue scelte di vita (gli studi, gli affetti) sono state influenzate dalla diagnosi?
Gli studi, nì. La diagnosi mi ha dato una spiegazione, ma in realtà ho sempre vissuto sentendomi “normale” con qualche differenza in qualche ambito, specialmente in quello sociale. Quindi, la diagnosi può aver alimentato uno stimolo che avevo fin da quando ero piccolo, cioè la curiosità verso me stesso e il mondo. Ovviamente, avendo obiettivi a lungo termine molto sfumati, mi lascio la libertà anche di cambiare strada. Per me questo è fondamentale proprio perché essere rigido su uno scopo mi preclude la possibilità di altre opportunità.
Gli affetti, ovviamente, no.
– Cosa ancora secondo te c’è da fare per aiutare le famiglie che vivono con lo spettro autistico?
Le famiglie dovrebbero capire che il tutto parte da loro, non dallo Stato, quindi i primi a doversi aiutare sono proprio loro. Ci sono richieste assurde proprio perché non si ha la capacità di educare e crescere una persona nello spettro, quindi dovrebbero lavorare prima su loro stesse e poi chiedere supporto, perché ricordiamoci che il mondo è sempre in mutamento: oggi si potrebbero avere delle risorse, un domani no. Quindi è opportuno adattarsi e capire il proprio figlio per trovare strategie efficaci e cercare un modo per comunicare efficacemente, crescendolo come si cresce un figlio non autistico e solo all’evenienza dargli dei supporti, proprio per non farlo adattare a un contesto assistenziale (in questo caso parlo di persone autistiche non gravi, cioè la maggior parte).
Fondamentale è il parent training che purtroppo spesso viene fatto solo perché è giusto farlo senza comprendere effettivamente l’importanza. Spesso sono proprio i genitori a trattare i figli come speciali e a condizionarli, creando barriere che non fanno sviluppare le loro potenzialità e calandoli in uno stereotipo. Molti provengono anche da ambienti classisti e in quel caso è difficile cambiare la mentalità, perché significherebbe smontare tutto un costrutto.
– L’Italia offre prospettive di crescita e autonomia? O lo Stato è da questo punto di vista assente?
L’Italia, in molti ambiti, sulla carta dovrebbe essere una delle migliori nazioni al mondo, ma concretamente va a rilento. Questo perché la normativa c’è ed è anche ben strutturata e attenta al progresso, però non si hanno degli strumenti strutturali per attivare certi meccanismi. La legge sulla disabilità e sul progetto di vita è stata redatta da poco, è veramente molto valida, ma difficilmente la vedremo andare a regime al 100% con pochi intoppi. La realtà dei fatti è che mancano tutta una serie di servizi e infrastrutture. Quindi la crescita c’è, ma sarà molto lenta rispetto a quello che è lo standard dei paesi ricchi (di cui l’Italia fa parte) del mondo.
– Come vedi il tuo futuro?
Mi piace non pensare a lungo termine, però sarà sicuramente sereno anche perché adesso sto cercando di stabilizzarmi e sviluppare più competenze per il futuro.
INTERVISTA AD UNA MAMMA CON FIGLIO AUTISTICO
– Quando e come è iniziato questo percorso con lo spettro autistico?
La mia esperienza in tema di autismo purtroppo è giunta vivendo sul campo la problematica. Avevo timore, una volta percepito che le tappe del neuro sviluppo del mio bambino non fossero coerenti, potesse fare capolino nelle nostre vite. Ricordo quando con sofferenza scorrevo sul web in cerca di risposte, timorosa che fosse proprio così. Da mamma inesperta al primo figlio, sentivo non ci fosse piena normalità nelle risposte del mio bambino ma speravo che i pediatri potessero darmi certezza di sbagliarmi. Ogni segnale incoerente va indagato velocemente questo è il mantra che cerco di trasmettere oggi ad altri genitori. La diagnosi precoce è fondamentale per consentire di velocizzare il recupero del Gap di ritardo in tempi riabilitativi relativamente brevi.
– Come ha reagito la vostra famiglia a questa diagnosi?
All’arrivo della diagnosi la famiglia ha una vera e propria rivoluzione; le priorità cambiano in un momento, radicalmente. Ogni singolo membro della famiglia reagisce alla notizia secondo un proprio modo e secondo la propria sensibilità. E’ un terremoto che scuote anche le fondamenta più stabili e resistenti. I pezzi rotti sono tanti e tenere unito il nucleo familiare è complicato: bisogna concedersi del tempo per metabolizzare. Ma poi bisogna rialzarsi e capire come essere operativi sul campo.
– Lo Stato supporta adeguatamente le famiglie che devono affrontare questa diagnosi? A livello sia di percorsi di terapia che con figure scolastiche di sostegno?
Tramite il passaparola e una rete di professionisti e persone semplici si arriva alle strutture pubbliche ospedaliere sparse sul territorio per la diagnosi formale e si approda al percorso riabilitativo dell’ABA (Analisi Applicata del Comportamento). Siamo stati fortunati a vivere a Caserta, città che sul territorio nazionale ha introdotto per prima il progetto ABA sostenuto dall’ASL e dalla Regione Campania per consentire un affiancamento di terapisti d’eccellenza, psicologi, logopedisti ed educatori ai ragazzi affinchè possano progredire nei luoghi sociali.
La scuola merita una menzione a parte: sebbene ci siano ottimi docenti, maestri di vita, che credono nei nostri ragazzi e nelle loro potenzialità senza dimenticare l’aspetto umano e che prendono in carico il bambino e la sua intera famiglia credendo nel supporto reciproco come è capitato a noi per fortuna, la scuola resta ancora troppo formale a fronte di empatia e strategie tarate sulle singole caratteristiche del ragazzo.
Pura utopia, invece, il supporto dei comuni di residenza spesso in dissesto finanziario come il nostro. Per questo è complicato per le famiglie coinvolte non correre il rischio di essere fagocitati e di dimenticarsi della propria identità.
– Crescendo nei bambini la socializzazione diventa fondamentale: com’è il rapporto di vostro figlio con i compagni e gli amici?
Il collante a scuola resta il gruppo classe che, nel caso di mio figlio, lo ha accompagnato durante tutto il suo percorso scolastico. Sono ragazzi che hanno mostrato sempre empatia, sensibilità e rispetto per i bisogni speciali del loro grande amico. Non nasconderò che la socialità delle famiglie in cui c’è un ragazzo speciale cambia radicalmente. La libertà diventa un concetto astratto a cui aspirare, spesso difficile da rendere concreto, ma con pazienza e resilienza si può, circondati da coloro che decidono di restare, trovare modi diversi ed originali per condividere tempo ed esperienze.
– Quali sono le passioni e i talenti di vostro figlio e come vedete il suo e vostro futuro?
Ci sono attimi in cui vorrei urlare che ne avrei fatto volentieri a meno, che non sono forte sebbene dimostri il contrario, e che le mie enormi fragilità ci sono e sono prepotenti in me. In un attimo mi fermo e penso che per loro fortuna non possono comprendere sino in fondo e che io debba combattere l’ignoranza resistendo alle difficoltà e mostrando il sorriso sempre e comunque.
Tante sono le abilità che Giulio ha conquistato nel tempo e non lo avremmo mai detto: come imparare a nuotare, andare in apnea, resistere ad un taglio di capelli oppure ad un prelievo di sangue, viaggiare per tutta l’Europa, fare lunghe passeggiate in luoghi storici importanti con la sua famiglia. Tanti ancora sono gli obiettivi da raggiungere ma noi non molliamo e attimo dopo attimo impariamo a godere del bello che accade e ci sorprende durante il viaggio.
Il Team Liber di “A casa di Lucia” ringrazia gli intervistati per la gentile collaborazione e disponibilità.