
15 Mar GIULIA TOFANA
Non conosciamo la precisa data di nascita di Giulia (che possiamo collocare intorno al 1600 a Palermo), sappiamo però che la madre Tofania D’Adamo morì giustiziata per aver ucciso il marito con un veleno creato da lei stessa, nel 1633.
Giulia, rimasta orfana, poverissima e bella, presto si diede alla prostituzione, ma, siccome era anche intelligente, scelse con cura i suoi clienti soprattutto tra gli esponenti del clero, legandosi in modo particolare con un frate speziale dal quale riusciva ad ottenere gli ingredienti per poter sperimentare la creazione di un veleno simile a quello usato dalla madre.
Proprio partendo dall’esperienza materna, Giulia aveva capito che un alto numero di donne si trovava prigioniera in matrimoni con mariti violenti e lei voleva offrire a quelle donne una soluzione tanto drastica quanto definitiva, migliorando al contempo la propria condizione economica.
Seguendo i ricordi che aveva degli insegnamenti materni e mettendoci del suo, dopo svariati tentativi riuscì a ottenere il “veleno perfetto”. Tra i suoi ingredienti si trovavano acqua, limatura d’arsenico, limatura di piombo ed estratto delle bacche di Belladonna, che dopo l’ebollizione davano un liquido inodore, incolore, insapore, che non lasciava traccia e non alterava il colorito del defunto simulando una morte assolutamente naturale: era nata l’Acqua Tofana.
Una sola condizione era necessaria perchè il veleno funzionasse: le clienti dovevano seguire alla lettera le istruzioni di Giulia su come somministrarlo, diluendo nei cibi l’esatto numero di gocce.
L’Acqua Tofana, conservata in bottigliette come “Manna di S. Nicola” con tanto di effigie del santo, ebbe un successo clamoroso e la fama di Giulia trasmessa di bocca in bocca arrivò fino a Napoli e poi a Roma. L’attività della donna correva sempre, comunque, il pericolo di essere scoperta, cosa che avvenne nel 1650, quando una cliente non seguì le istruzioni per la somministrazione del veleno e suo marito ne sopravvisse facendo nascere sospetti che portarono a Giulia.
Lei riuscì a scappare da Palermo prima che la raggiungessero e, con l’aiuto di frate Girolamo, suo amante fisso, si rifugiò a Roma in zona Trastevere in un appartamento pagato da lui. Per un po’ di tempo tutto parve andare per il meglio e Giulia iniziò anche a leggere e scrivere, fino al giorno in cui andò a trovarla una sua cara amica che le confidò la sua triste vita in balia di un marito violento.
Giulia non poteva certo lasciare la sua amica in tali sofferenze e rispolverò le sue doti di avvelenatrice ricreando l’Acqua Tofana. Ancora una volta, con l’aiuto del frate, si procurò gli ingredienti e il suo vecchio commercio ricominciò proprio sotto il naso dell’Inquisizione romana.
L’attività andò avanti per qualche anno, ma il problema dell’accuratezza delle dosi e dei tempi di somministrazione si riaffacciò quando una cliente, la contessa Ceri, ansiosa di liberarsi di suo marito al più presto, versò l’intera boccetta di veleno nella sua minestra provocandone la morte immediata.
Quel decesso improvviso e apparentemente immotivato diede il via a un’indagine dei gendarmi romani che portò inevitabilmente a Giulia.
La donna fu arrestata e torturata e durante gli interrogatori confessò di aver venduto boccette di veleno in un numero di almeno 600, provocando la morte di altrettante persone, in prevalenza uomini.
Giulia fu giustiziata a Roma in Campo dei Fiori nel 1659. Insieme a lei morì una sua collaboratrice e parecchie delle donne che avevano usato il veleno. Altre donne di cui si sospettava l’uso dell’Acqua Tofana morirono nei mesi seguenti uccise nelle segrete dei palazzi.
L’Acqua Tofana, però, non smise di circolare. Il compositore Wolfgang Amadeus Mozart poco prima di morire, nel 1791, confidò alla moglie il suo sospetto sul fatto che qualcuno gli stesse somministrando il famoso veleno, e una trentina d’anni prima anche la morte di papa Benedetto XIII aveva dato adito a qualche sospetto dello stesso tipo.
(fonte immagine: www.20minutes.fr)