06 Gen LA BEFANA: una vecchietta ricca di tradizioni
Per trovare tracce della nostra simpatica vecchietta bisogna tornare indietro nel tempo, all’epoca dei primi re di Roma e tempi appena successivi.
Siete pronti? Azioniamo la nostra macchina del tempo.
Siamo alla nascita di quella che sarà la città eterna, i mesi dell’anno in quel tempo erano dieci, l’anno iniziava e finiva con il mese di marzo dedicato a Marte, dio oltre che della guerra anche dei lavori agricoli. Il termine Epiphaneia o Epifania significa in greco “manifestazione”; e cosa si manifestava nel mese di marzo? Madre natura che tornava a mostrarsi con il germogliare dei semi a primavera.
Fu il secondo re di Roma, Numa Pompilio, ad aggiungere due mesi: Gennaio (dedicato a Giano) e Febbraio (dedicato a Februus, dio della purificazione in vista della primavera), così da far coincidere il calendario (almeno nel suo proposito) ai cicli lunari.
La festa della manifestazione però non seguì marzo nel suo spostamento al terzo mese dell’anno ma rimase come rito del nuovo inizio dell’anno, cioè a Gennaio.
La Dea Strenua
Di origine sabina poi adottata dai romani, la Dea Strenua o Strinia o Strenna (secondo la zona in cui veniva celebrata) era portatrice di buona salute, forza e prolificità, come dimostrano le statue a lei dedicate che la rappresentano con molti seni simbolo di abbondanza; era inoltre molto importante specialmente nel “pagus”, cioè le zone rurali intorno alle città. I Romani conoscevano bene l’importanza della Dea tanto da dedicarle un “locus” (bosco sacro), da cui venivano prelevati i rami degli alberi da regalare come buon augurio. Durante i riti dei Saturnalia, più o meno il nostro periodo natalizio, i Romani si scambiavano doni in nome della Dea Strenua: monete, frutta, biscotti a forma di donna con più seni per i bambini e nelle dimore patrizie si regalavano statuine della Dea in oro e argento. All’approssimarsi della fine di dicembre si regalavano anche mele e fichi, con l’augurio che il nuovo anno fosse dolce come quei frutti.
Secondo alcuni studiosi Strenua nella lingua sabina aveva il significato di “salute” ma la salute, la strenna che portava la Dea, era la forza di respingere gli spiriti malefici che potevano affacciarsi alla “janua”, la porta che nell’ultimo giorno di dicembre apriva il cammino al nuovo anno. Per impedire che ciò accadesse si appoggiava alla porta delle case un fascio di vimini legati in cima a forma di scopa.
Iniziate a mettere insieme i vari tasselli del puzzle?
Bene! Ma per completare il disegno ne manca ancora qualcuno.
La Dea Diana
Nei 12 giorni successivi al Solstizio d’inverno, giorno in cui i Romani festeggiavano il Sol Invictus, la Dea Diana (dea della caccia, della natura selvaggia e della luna) volava sui campi con il suo seguito di ninfe, spandendo la sua protezione contro il gelo che avrebbe fatto morire il seminato. Per lo stesso motivo i contadini sotterravano nei campi rami di “salix alba”, il salice bianco, per invocare la neve perché “sotto la neve pane, sotto la pioggia fame” come ci insegna l’antico proverbio.
Con il passare dei secoli la Dea Strenna, la scopa di vimini e Diana volante subirono una sorta di unificazione, portandoci sempre più vicini all’attuale vecchina con la scopa volante.
La Perchta
Vecchia e gobba e vestita di stracci, la Perchta viene dalla tradizione celtica ed è la personificazione della natura invernale, la rappresentazione di Madre Terra che, stanca dopo aver speso le proprie energie durante tutto l’anno, è pronta a “morire”, non prima però di aver distribuito i doni per l’anno nuovo: i semi che germoglieranno in primavera. Il dono del carbone è anch’esso di origine celtica. Cenere e carbone erano molto importanti per i Celti in quanto erano custoditi nel ventre della Terra, là dove si nasconde il sole prima di rinascere.
L’avvento del Cristianesimo
A partire dal IV secolo d.c. la Chiesa iniziò a condannare gli antichi riti legati ai cicli naturali definendoli “pagani” e satanici.
La Dea Diana, nella sua immedesimazione con Strenua e infine con la Perchta, non sfuggì a tale giudizio.
Nel 906 d.c. l’abate benedettino Reginone di Prum (840-915 d.c.) nel suo trattato “Canone Episcopi” (testo sulla stregoneria che conteneva istruzioni per i vescovi sul “riconoscere una strega”) così scriveva della Dea Diana e delle donne che la veneravano:
“Talune scellerate donne, rivoltesi a seguire satana, credono e professano di cavalcare nelle ore notturne sopra certe bestie, insieme a Diana dea dei pagani e a una moltitudine di donne e nel silenzio della notte profonda di attraversare grandi spazi e molte terre e di obbedire agli ordini di lei come fosse lo loro signora e di essere chiamate in certe notti al suo servizio”.
Se fu abbastanza facile nelle città estirpare i culti “pagani” abbattendo templi e statue, non lo fu altrettanto nelle campagne, dove le novene alla Dea Diana-Strenua sopravvissero per almeno altri mille anni. Non potendo cancellare del tutto la “befana”, la Chiesa si risolse ad accettarla come una specie di fiaba per bambini o assimilandola all’arrivo alla capanna del neonato Gesù dei re Magi o inserendola nel loro viaggio quale vecchietta a cui gli stessi chiedono informazioni.
Come abbiamo visto la Befana è molto di più di una vecchietta vestita di stracci a cavallo di una scopa. È il simbolo di morte e rinascita, del coraggio di lasciare andare ciò che non ha più energia e per cui non dobbiamo più spendere le nostre energie per rivolgerle con forza al nuovo che ci invita a scoprirlo manifestando le sue molteplici possibilità e sfide.
Buona Epifania a tutti!