04 Dic IL CONSUMISMO A NATALE
Il vocabolario ci informa che il consumismo è: “Atteggiamento rivolto al soddisfacimento indiscriminato di bisogni non essenziali, alieno da programmi, ideali e propositi, tipico della società dei consumi”.
Ma quand’è che abbiamo smesso di consumare per vivere e abbiamo iniziato a vivere per consumare?
La Seconda Guerra Mondiale fa da spartiacque tra la vita prima di essa quando risparmiare, acquistare prodotti che durassero nel tempo (dal vestiario ai mobili) e riparare ciò che si rompeva o si usurava era normale consuetudine, alla vita dopo quando la frenesia, seguita al ritorno alla tranquillità dopo cinque anni di morte per chi combatteva e dolore e fame per chi aspettava a casa, venne alimentata dall’industria che aveva scoperto la produzione “in serie” di ogni prodotto vendibile, che poi i grandi supermercati nascenti provvedevano a mettere a disposizione di clienti desiderosi di spendere.
Il cambiamento non fu istantaneo ma, comunque, epocale. L’idea che “tutti” potessero comprare tutto e ce lo avessero a disposizione a prezzi bassi in quei nuovi enormi luoghi in cui si vendeva dal pane alla lavatrice era allettante, tanto più che il nuovo elettrodomestico “indispensabile” in ogni casa, la televisione, si premurava di mostrarli, quei prodotti, come fondamentali per la vita quotidiana.
Con il passare dei decenni comprare in maggior numero ciò di cui non abbiamo bisogno davvero è diventato uno stile di vita e, da una ventina d’anni, specialmente gli elettrodomestici e i dispositivi elettronici di cui non possiamo più fare a meno come Iphone e computer sono costruiti con il fine vita predeterminato. Quando una loro piccola parte si rompe o si usura ripararla costa più dell’intero oggetto nuovo e non è raro che il pezzo di ricambio non esista.
Se questo modo di vivere è diventato talmente connaturato ai nostri giorni da non farci più caso, all’approssimarsi delle festività il suo potere pervasivo si fa più intenso; e quello natalizio è il periodo dell’anno che maggiormente ce ne mostra il volto di attraente lusinga.
Periodo che, ormai, inizia qui in Uk in sordina ad agosto, quando sulle vetrine dei negozi compare l’avvertimento “Christmas card available inside”.
A metà settembre i babbi natale, le renne e gli omini di neve si contendono lo spazio con gli scheletri, le zucche intagliate e i fantasmi di Halloween e dall’inizio di novembre fino alla vigilia di Natale tutto ciò che è acquistabile diventa “natalizio”, dai pigiami a tema ai regali per cani e gatti, alle montagne di dolciumi e alcolici, alle Christmas card che si vendono a tonnellate.
Ma, soprattutto, mentre nei centri commerciali e nei negozi suonano in una ripetizione senza fine le stesse canzoni, natalizie, nell’aria impalpabile come una sottile ragnatela ma ugualmente insidiosa ci circuisce l’idea che perchè sia Natale si debba comprare e che più si compra migliore il Natale sarà.
Per quasi due mesi è una cacofonia di montagne di cibo e oggetti a disposizione e di cartelloni e banner pubblicitari con persone sorridenti perché li hanno acquistati: “È Natale, che altro vuoi fare se non comprare?”
Il 26 dicembre, all’improvviso, tutto tace. Le radio riprendono le loro programmazioni usuali, nei negozi ci sono ancora le decorazioni natalizie ma appaiono spente come fossero stanche anche loro della confusione e dell’insistenza all’acquisto dei giorni precedenti.
Molti degli acquisti fatti finiranno rivenduti su Marketplace da chi ha ringraziato e sorriso per quieto vivere a Natale nel riceverli, ma non li ha apprezzati affatto; altri saranno donati ai charity shop, mentre le Christmas card finiranno per lo più nel bidone del riciclabile.
Come ultimo sforzo c’è ancora Capodanno poi, finalmente, fili colorati, lucine e alberi di Natale si potranno riporre in soffitta o cantina e per i dodici mesi che ci separano dal prossimo Natale potremo tornare al consumismo “normale”.