29 Nov L’OCCIDENTE E IL NEMICO PERMANENTE
Che cos’è l’Occidente? Ce lo siamo mai chiesti? E non è ossimorico il pretendere di attribuire un senso assoluto ad un termine che per sua natura esprime la parte di un tutto geospaziale, per giunta concepito come sferico e ruotante attorno al proprio asse, quindi refrattario a termini che ne “fissino” le parti?
Per iniziare il ragionamento che sta alla base della recensione che mi appresto a scrivere, è necessario liberarci da vecchi feticci, ragionando con “mente pura” (come raccomandava il nostro grande Giambattista Vico).
Oriente e Occidente sono considerati, da sempre, come fratelli-coltelli, amici-nemici, sogno-incubo, alba e tramonto, ed in parte alcune differenze sono assolutamente plausibili; ma è plausibile etichettare in maniera così netta termini dai contenuti così tanto vasti?
Noi cosiddetti occidentali, da quando l’imperatore Teodosio prescrisse il cristianesimo come unica religione del suo impero (collocando accanto ad essa tutta la tradizione storico filosofica precedente, ovvero tutta la cultura ellenistico-romana) siamo abituati a considerare l’Occidente come l’ombelico del mondo, attorno al quale quest’ultimo necessariamente ruota.
Come se l’asse terrestre fosse fissato a Roma o a Washington o a Londra e di conseguenza tutto il mondo vi giri intorno, nel bene o nel male.
In realtà la nostra stessa cultura cristiana ha forti basi orientaleggianti: l’impero romano (diviso nel 395 d.C.) è crollato ad Oriente non nel 476, come stabilito in data convenzionale a Roma con l’avvento dei barbari, bensÌ nel 1453 con l’invasione dei Turchi, quando cadde Bisanzio, in Turchia, considerata la Nuova Roma.
Dopo Bisanzio, fu Mosca, capitale russa, ad essere considerata “la terza Roma”, in quanto continuatrice della fede Cristiana vera, non impura, incontaminata e con forti tendenze imperialistiche.
Nei suoi “Diario di uno scrittore” Fëdor Dostoevskij scrisse:
“Mosca ha ancora una lunga vita davanti a sé. Mosca non è stata ancora la Terza Roma, eppure deve avverarsi la profezia, perché una quarta Roma non ci sarà e di Roma al mondo non si può fare a meno“.
Un chiaro collante con la storia dei secoli precedenti, qualche migliaio di chilometri più ad Ovest. Eppure noi europei non consideriamo i russi europei, figurarsi occidentali.
Senza contare le vie della Seta con la Cina, gli scambi culturali tra Venezia ed il cosiddetto Oriente, i viaggi in Terra Santa risalenti sin dall’epoca altomedievale, come testimonianza che il mondo non è destinato ad essere diviso attraverso forti demarcazioni ma è destinato a mescolarsi, attraverso gli uomini e quindi i popoli.
Ed in proposito occorre infine citare l’annotazione, risalente all’XI secolo, di un piccolo chierico di nome Fulcherio, a servizio di Baldovino di Buglione nel corso dei suoi viaggi in Palestina.
“Ormai noialtri, che un tempo eravamo occidentali, siamo divenuti orientali. Chi fu latino o franco, in questa terra è diventato latino o palestinese… Ormai ci siamo dimenticati dei nostri luoghi natii… c’è chi ha preso in moglie non una compatriota bensì una siriana, un’armena o addirittura una saracena, s’intende battezzata. Si usano lingue diverse, man mano dalle quali è scaturita una lingua comune che viene interpretata da genti di stirpe diversa. Perché mai dovrebbe tornare in Occidente, chi ha trovato un tale Oriente?.”
Immagino che chi stia leggendo questa mia recensione si stia domandando quale possa esserne l’oggetto. Mi scuso per essermi dilungata, ma il saggio che mi appresto a commentare dato l’argomento necessita di una doverosa prefazione: la digressione storica è necessaria per meglio poter riflettere sui concetti di Oriente ed Occidente.
Per quale motivo tra i tanti libri sugli scaffali delle librerie ho deciso di dedicarmi alla lettura di un libro attinente alla politica e alla confutazione di assunti dati per scontati attraverso termini, parole come appunto Oriente e Occidente?
Sin dalla mia adolescenza, attraverso i libri non ho solo viaggiato attraverso le storie, i racconti di grandi e piccoli romanzieri, ma ho anche utilizzato spesso la lettura per documentarmi sulla realtà che mi circondava.
Così questa estate, tra un Maurizio De Giovanni e un Franco Cardini, ho avuto modo di leggere il saggio dell’ambasciatrice Elena Basile, “L’occidente e il nemico permanente”.
L’ambasciatrice Basile ha avuto un lungo cursus honorum (tra i vari incarichi è stata ambasciatrice d’Italia in Svezia ed in Belgio), fino a quando nel 2023 ha rassegnato le dimissioni per incompatibilità tra i suoi principi morali e gli obiettivi della politica estera nostrana, diventando così una delle voci più critiche del mainstream.
Bisogna precisare che nonostante la complessità degli argomenti affrontati (il conflitto tra Russia ed Ucraina e l’escalation di fuoco tra Israele e Palestina, oltre che annotazioni riguardanti lo stato di salute dei mainstream del nostro Paese), il saggio in questione, di poco più di 178 pagine, si presenta una lettura estremamente scorrevole e chiara nella descrizione degli eventi e la loro genesi, nell’elencare i dati dell’attuale situazione politica ed economica del cosiddetto mondo occidentale, affrontando l’argomento del nascente Nuovo Mondo orientale con imparzialità e giudizio.
Tuttavia ciò che mi ha maggiormente colpito non è stato questo aspetto, bensì l’approccio etico che l’autrice vi pone.
L’ambasciatrice Basile scrive di giochi globali in materia politica ed economica frutto di una visione patologica del mondo dell’Occidente. La tesi che più volta porta avanti nel corso del libro è che l’Occidente, ormai braccato dal proprio declino che esso stesso ha creato, porti avanti disegni imperialistici ed espansionistici, sentendosi paradigma del mondo, focalizzandosi su strategie militari ed economiche spesso disastrose, relegando in un angolo la diplomazia e la mediazione.
Secondo la Basile, l’unica maniera per il mondo in declino occidentale di rimanere a galla è alimentarsi del continuo bisogno di un nemico permanente, possibilmente ad est, necessario al fine di giustificare le varie guerre, vuoi che siano in Iraq, in Libia o da ultimo in Ucraina ed in Medio Oriente.
La seconda tesi riguarda l’atteggiamento da parte di chi dovrebbe far informazione.
“Paul Nizan, nel 1932 aveva scritto I cani da guardia, un pamphlet contro gli intellettuali idealistici che tramandavano i valori della classe borghese, dipingendo un’umanità avulsa dal mondo reale, dal sudore, dalle preoccupazioni… Serge Halimi nel 1997 pubblica I nuovi cani da guardia che descrive le trasformazioni del giornalismo, nato come contropotere e trasformato nel megafono del pensiero neoliberalista e degli interessi dei gruppi industriali da cui dipende.”
Niente di nuovo, sia ben chiaro: la propaganda esiste da sempre e non l’ha di certo inventata l’uomo del nuovo millennio; da Ottaviano Augusto in poi il potere ha sempre utilizzato i mezzi di comunicazione coevi per influenzare i popoli.
Come fa notare la Basile, essa viene istituzionalizzata e diviene massa solo a partire dalla prima guerra mondiale, quando i vari governi, pur di giustificare un conflitto dalle grandi proporzioni, decisero di affidarsi a studi sofisticati di condizionamento delle masse, per convincere i giovani ragazzi ad arruolarsi.
Era del 1895 l’opera di Gustave Le Bon “Psicologia delle masse”, divenuto ben presto il fondamento di ogni riflessione sul condizionamento dei popoli.
Così Walter Lippmann, consulente all’informazione del Presidente USA Wilson, ebbe il compito di convincere i pacifisti cittadini americani ad arruolarsi in una guerra europea, così Hitler nel Mein Kampf ebbe a scrivere che la Germania aveva perso la prima guerra mondiale perchè aveva perso la guerra della propaganda.
E potremmo continuare a iosa con macroesempi di condizionamento passato e purtroppo odierno, che si perpetuano anche nel racconto dell’escalation militare in Ucraina o del conflitto israelo-palestinese, di cui pochi conoscono le nefandezze commesse da ambo le parti, così come dell’impegno vero o solo fittizio delle cancellerie occidentali nel trovare un accordo.
Nel frattempo continuano a morire gli innocenti, come sempre, mentre si pesano e soppesano le varie convenienze geopolitiche, continuando ad imbottire le masse di improbabili scusanti e giustificazioni per i massacri di turno.
“In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.”