17 Nov AMANDO GOBBOLINO
Se vado indietro nel tempo fino alla mia infanzia, una delle prime immagini è proprio quella di un gattino nero che divenne uno dei miei beniamini. Parlo del protagonista di una serie di fiabe, una collana che mia madre acquistava per me e mia sorella e che ci faceva compagnia tra libri e audiocassette. La raccolta era quella dei “Raccontastorie” e lui era Gobbolino, un gattino tutto nero ma con una zampetta bianca e gli occhi blu, segni che lo distinguevano dalla sorellina Sutica, tutta nera e con gli occhi verdi come i gatti delle streghe. Sì, perché Gobbolino era il gatto di una strega ma voleva tanto diventare un gatto di casa.
Sono quindi cresciuta con questa idea: che i gatti delle streghe fossero neri e con gli occhi verdi, ma in fondo fossero solo dei gattini che volevano una casa. E così di anno in anno, tra un film come “Hocus Pocus” e un telefilm come “Sabrina“, tra superstizioni che mi “impedivano” di attraversare la strada se era appena passato un gatto nero e spunti letterari (vedasi “Il gatto nero” di Edgar Allan Poe), il mondo intorno a me mi mandava il chiaro messaggio di dover evitare assolutamente questo essere diabolico. Ma perché tutto questo astio nei confronti dei gatti neri? Da dove nasce?
Nonostante nell’Antico Egitto il gatto fosse venerato e la stessa dea Bastet fosse raffigurata con la testa di un gatto nero, in Europa la sua sorte fu ben diversa.
In Inghilterra e in diverse culture germaniche il gatto nero era una sorta di spia mandata da demoni o streghe se non, addirittura, una strega che girava sotto mentite spoglie (“a witch in disguise“). Per questo motivo durante il Medioevo alcuni papi arrivarono ad ordinare l’uccisione di tali animali durante feste particolari, come dei veri e propri riti propiziatori. Nella mitologia celtica si credeva esistessero dei mostri spaventosi e molto pericolosi che potevano mutarsi in gatti neri, come il Cat Sith e il Cat Palug.
Persino l’origine della diceria circa la sfortuna portata dal gatto nero che attraversa la strada risale al Medioevo, epoca in cui si andava a cavallo: infatti, se un gatto attraversava all’improvviso la strada, il cavallo poteva spaventarsi e disarcionare il cavaliere.
Tutte queste storie negative si ricollegano però innanzitutto al suo manto nero, così scuro da evocare le tenebre spesso associate al male e alle sue forme ultraterrene; il nero è inoltre il colore del lutto, quindi visto spesso in accezione negativa. Inoltre l’abitudine dei gatti di uscire di notte ha contribuito a collegarli a superstizioni e credenze popolari che li vedevano portatori solo di sventure e mala sorte.
Come se fosse difficile fronteggiare la semplice verità che il male è insito in ognuno di noi (il famoso yin-yang) e che gli eventi sfuggono al controllo dell’uomo, la necessità di trovare un capro espiatorio ha sempre avuto la meglio, facendo convergere nei poveri gatti neri il massimo della sfortuna, come anche il suo opposto.
In alcune culture, infatti, come ad esempio in quella giapponese, al contrario i gatti neri sarebbero forieri di buona sorte, allontanando la possibilità di contrarre malattie mortali o favorendo l’incontro dell’anima gemella.
Alla luce di tutto questo è facile comprendere la necessità di istituire una giornata, quella appunto del 17 novembre, per celebrare questo piccolo felino: elegante e misterioso, ha infatti ancora oggi bisogno di proteggersi dall’incapacità di affrontare la realtà che il male viene dall’uomo e da nessun altro.
Non è stata una data scelta a caso, essendo il 17 (nella cultura di alcuni Paesi) un numero altrettanto legato alla sfortuna. Una giornata, dunque, per ricordare che i gatti neri, come qualsiasi altro animale, sono solo bisognosi di cure e amore. Accudiamoli, accogliamoli, diamo loro una famiglia. Da parte mia, continuerò a vedere in ognuno di loro il mio piccolo Gobbolino e il suo bisogno, tra streghe da combattere, navi da salvare, cavalieri e dame da conquistare, di trovare un caldo focolare in cui vivere felice, in mezzo a bambini giocherolloni e fusa a stomaco pieno: un luogo da chiamare casa.