A Casa di Lucia | RIFLESSIONI SULLA PAROLA “PACE”
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RIFLESSIONI SULLA PAROLA “PACE”

Il 10 Novembre ci celebra, istituita dall’Unesco, la Giornata Internazionale della Scienza per la Pace e lo Sviluppo: l’impegno del mondo della scienza di promuovere un utilizzo responsabile delle sue innovazioni al servizio della società.  

Il 25 Novembre si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. 

Il 30 Novembre 1981 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per la volontà di creare un giorno all’insegna della pace mondiale e della non violenza, nacque la Giornata Internazionale della Pace: il giorno dedicato ad essa è il 21 settembre. 

In un mondo e in un periodo segnati da un crescendo di conflitti, guerre e violenze, in un mese che sembra permeato dalla celebrazione della pace e della non violenza, vigilia del mese (dicembre) durante il quale “dovremmo essere tutti più buoni”, le scrittrici del blog In tutto Liber di A casa di Lucia hanno deciso di riunirsi per riflettere, a partire proprio dalla parola PACE. 

SILVA

Quanto spesso, parlando, pronunciamo la parola Pace?

Lasciami in Pace!”, diciamo a qualcuno che ci sta angustiando.

Ha raggiunto la pace dei sensi”, affermiamo di una persona che pare non avere desideri, specialmente quelli sessuali.

Scambiatevi un segno di pace”, esorta il prete dall’altare per poi augurare “Andate in pace” a fine Messa.

Non c’è pace tra gli ulivi”, frase che evoca le ore d’angoscia trascorse in solitudine da un Cristo che aspettava il compiersi del proprio destino sudando sangue, lui che aveva detto ai suoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”.

Che Pace!”, esclamiamo quando arriviamo in un luogo lontano dai rumori della città.

Ma cos’è davvero la Pace? Si trova in questo mondo? E dove?

Nella soppressione di ogni desiderio? O, al contrario, nell’avere tutto ciò che si desidera?

Nell’essere al fianco della persona amata? O nella solitudine, padroni assoluti dei propri giorni? 

Nell’assenza di sofferenza?

Nella vita di un Paese che non sia in guerra? O dove una guerra è finita?

La pace esiste dove non c’è lotta né conflitto?

Pensiamo ai semi che dalla terra in cui riposano durante l’inverno, lottando contro i centimetri di terreno che li ricoprono, finalmente germogliano in superficie. Se se ne stessero “in pace” là sotto non avremmo fiori né frutti: la primavera, conseguenza di lotte e non di pacifici momenti, non esisterebbe.

Pensiamo al pulcino dentro l’uovo e al suo sforzo per uscirne, al bambino nel ventre materno e alla sofferenza di madre e figlio perché nasca. Se rimanessero “in pace” lì dove sono, la vita non proseguirebbe, non staremmo qui a parlare di pace. La nascita di ogni nuova vita animale o vegetale è risultato di lotta e sofferenza. Il conflitto è necessario alla vita.

Oppure la Pace non è un elemento “denso” da poter vivere nel corpo terreno ma piuttosto qualcosa di etereo che si ottiene solo in un mondo altro, come ci promettono le religioni secondo le quali solo lì si ha la “pace eterna”, dovuta non alla pacificazione dei sensi ma a una loro totale scomparsa. Farebbe pensare che finché i sensi esistono, finché noi esistiamo, la pace è solo una chimera.

Forse la pace deriva dal silenziare la mente, dal non cercare risposte affidandosi a un essere superiore, divino, che tutto vede e sa e ai cui disegni per noi è inutile opporsi con progetti propri.

Come risultato di queste mie riflessioni mi accorgo che se è facile pronunciare la parola “pace” in molte occasioni, dire cosa essa sia non è affatto semplice.

Mi sovviene il grande Totò che a Oriana Fallaci, che gli chiedeva se fosse felice, rispose così: “La felicità non esiste. Vi sono minuscoli momenti di felicità e sono quelli in cui ci dimentichiamo delle cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza”.

Penso che, se in questa ultima frase, sostituissimo al vocabolo “felicità” la parola “Pace”, potremmo avvicinarci a capire o, meglio, a percepire, cosa sia la Pace.

ILENIA

La pace è guerra” sentenziava George Orwell in “1984”, slogan del famoso Ministero della Verità, l’ente pubblico preposto alla censura nel celebre romanzo.

Molti sono stati gli intellettuali, gli scrittori che, nel corso dei secoli, hanno discusso di pace.

Ma per quale motivo? A ben pensarci, da quando l’essere umano ha fatto la sua comparsa su questo pianeta, le guerre tra popoli sono da sempre state una costante. Va da sé che da sempre ci si sia interrogati sul reale significato di questa parola, quasi utopica. Nel momento in cui l’uomo e la donna sono divenuti essere pensanti, Homo Sapiens, non hanno potuto fare a meno di porsi interrogativi circa non solo la mancata pacificazione di città o Stati a cui appartenevano, ma anche e soprattutto riguardo al significato intrinseco del termine “pace”.

Ad esempio, più di 2000 anni fa, nella penisola greca, Euripide e Aristofane si cimentavano nella scrittura di opere concepite proprio per esaltare la pace e descrivere in modo cupo e tormentato gli orrori della guerra. Ma vi è un passo di Erodoto che risuona in modo particolarmente significativo. Sono le parole con cui Creso risponde a Ciro, che gli domanda quale follia lo abbia spinto a muovere guerra a lui e al suo impero, così più potente da non permettere nessuna illusione circa l’esito del conflitto:

“Nessuno è così stupido da preferire la guerra alla pace: nella pace i figli seppelliscono i padri, in guerra invece i padri seppelliscono i figli: ma è piaciuto agli deì che così ciò avvenisse.”

Dunque, la pace come situazione di normalità, contrapposta alla guerra, che è invece situazione in cui si ha un rovesciamento dell’ordine naturale. 

La speculazione ellenistica non si limitò solo a questa riflessione, bensì proseguì la propria speculazione filosofica rimarcando il valore del tema della pace come un valore soprattutto spirituale. Considerata anche e soprattutto come una conquista dell’individuo: la pace è la condizione del sapiente che ritrova nel profondo di sé le condizioni per raggiungere la serenità o l’imperturbabilità.

Orwell descrive la pace solo in senso politico, come qualcosa che preludi obbligatoriamente ad una guerra. “La Pace è guerra” non intende altro che una situazione di stallo, anticipatoria di una guerra necessaria ed imminente.

Per i Greci, invece, già due millenni or sono, la pace non era altro che un concetto semplicemente antitetico alla guerra, ma anche uno stato d’animo da perseguire.

Poi a seguire il cristianesimo nella Bibbia e figure più recenti come il Mahatma Gandhi hanno portato avanti il concetto di pace come messaggio collegato ad una retta convivenza tra uomini, in una società nella quale nessuno dovrebbe mai sopraffare l’altro nè in senso figurato nè materiale, attraverso la violenza e quindi la guerra.

In anni più recenti filosofi, psicologi, sociologi hanno versato fiumi di inchiostro su questo argomento, trovando di volta in volta, a seconda del periodo storico, giustificazioni o quantomeno spiegazioni al motivo per cui l’uomo moderno non riesca a trovare pace, questa volta sul piano personale, nella vita di tutti i giorni.

Qualche anno fa, Eduardo De Filippo compose una poesia dal titolo “Io vulesse truvà pace”, nella quale si poteva scorgere il marcato disappunto di Eduardo, che disperato è alla ricerca di un po’ di pace tra i tanti affanni della vita quotidiana, durante la quale si augura di poter vivere in un’eterna primavera di tranquillità e, appunto, pace.

Scorrendo i secoli e le migliaia di libri scritti su di una sola semplice parola ciò che più salta all’occhio è proprio l’irrequietezza dell’animo umano: mai immobile, sempre affannato, alla ricerca di terre nuove da conquistare, popoli da sottomettere, costantemente affannato dalla pesantezza del quotidiano, dai tormenti dell’animo che non accennano a donare quel senso di pacificazione personale e sociale.

Che la Pace sia dunque un’utopia? Un concetto astratto che l’uomo rincorre da sempre e che sempre rincorrerà, proprio perché insito nell’animo umano? 

LOREDANA 

Se è difficile dare un unico significato alla parola, se di fatto per quante “Giornate” siano istituite ci sono sempre più guerre e più violenza, se può sembrare che il singolo non possa fare molto, ma l’unione sì, ognuno di noi nel proprio, seppur pesante, quotidiano può fare tanto per lanciare un piccolo seme. 

Ogni giorno si può scegliere di non inveire in maniera aggressiva, di evitare scontri, di non alimentare violenza (fisica, verbale, morale, sui social), ma, soprattutto, di regalare un sorriso o una parola gentile: ecco forse la pace potrebbe essere la somma di tanti singoli atti di non violenza, di tanti singoli atti di gentilezza, di tanti singoli sorrisi donati, che si contagiano, che si moltiplicano e dunque iniziano a fare differenza. 

Perché da domani non proviamo a portare avanti una piccola “missione di pace” personale e vedere nel tempo se dà frutti? 

Con l’augurio e la speranza che la pace e la non violenza non siano solo parole facilmente pronunciate, che alcune Giornate definite “internazionali” non lo siano solo nel giorno celebrativo ma tutto l’anno, che siano di riflessione per tutti, vi salutiamo con la frase della scrittrice austriaca Marie Von Ebner-Eschenbach:

“Si può avere la pace solo se la si fornisce.”



× Ciao!