06 Ott L’INSEGNANTE E LA SUA MISSIONE NELLA SOCIETA’
Dall’alba dei tempi tre sono le figure che hanno da sempre plasmato la vita di un essere umano: la madre, il padre e il maestro. Se i genitori sono essenziali nella vita del bambino, affinché non venga al mondo solo da un punto di vista biologico ma cresca anche da un punto di vista emotivo, la figura dell’insegnante è ugualmente importante. Ma per quale motivo chi per mestiere trasmette il proprio sapere è così importante nella vita di ognuno di noi?
Gesù stesso veniva chiamato dai suoi discepoli “maestro” e difatti la parola discepolo deriva proprio dal latino “discipulus”, cioè “colui che impara”. Come scrisse l’evangelista Marco: «Li istruiva come uno che ha autorità, e non come gli scribi»; un maestro che si erge non col potere dell’autorità, ma con l’autorità dell’autorevolezza. Ed è proprio seguendo l’esempio di Gesù, anche per chi non crede necessariamente sia stato figlio di Dio, che possiamo delineare la figura dell’insegnante come colui o colei che decide di mettere il proprio scibile, le proprie conoscenze, a disposizione degli altri. Non è appannaggio unicamente dei sacerdoti iniziare un lavoro solo se se ne sente la vocazione: è infatti (o quantomeno così dovrebbe essere) tipico anche di chi decide di intraprendere questo mestiere. Trasmettere ciò che si sa con pazienza ed empatia, senza imporlo e senza condizionamenti esterni, non è lavoro per tutti, così come non tutti siamo in grado di aggiustare il tacco ad un scarpa o progettare aerei.
Nel celeberrimo libro “Cuore” di Edmondo De Amicis uno spazio particolare è dedicato a maestri e maestre, visto che non si perde occasione per descriverli sia fisicamente che moralmente, e per fare la storia delle disavventure e delle peripezie dei maestri e delle maestre che si susseguono. In Cuore, la scuola è strutturata come una famiglia: il maestro viene rappresentato come un padre, la maestra come una madre e gli allievi come dei figli.
La scuola, così come i maestri, vengono subito dopo la famiglia biologica e hanno una rilevanza simile. Nel libro, la famiglia è strutturata in modo tale da rappresentare l’autorità del padre e la gentilezza della madre.
La visione della scuola come una famiglia si può vedere anche nel primo discorso che il maestro Perboni fa ai suoi allievi: «Voi dovete essere i miei figliuoli. Io vi voglio bene, bisogna che vogliate bene a me. Non voglio aver da punire nessuno. Mostratemi che siete ragazzi di cuore: la nostra scuola sarà una famiglia, e voi sarete la mia consolazione e la mia alterezza».
Il maestro Perboni, nel corso del libro, ha anche il compito di insegnare ai bambini a essere cittadini coretti, solidali e consapevoli del passato del loro Paese.
Ed è soprattutto compito della scuola insegnare ai bambini a distinguere tra ciò e giusto e ciò che è sbagliato, e ad instillare i giusti valori in modo che possano essere buoni, indipendentemente da dove li porterà la vita.
I ragazzi infatti dovrebbero essere visti come “buoni per natura”, corrotti soltanto dalle abitudini sociali, influenzati da contesti poco felici o spesso degradati, motivo per cui l’insegnante è anche lì per sostenere i suoi allievi a migliorare, ma mai facendo pressione su di loro. Questo aspetto si può notare da uno dei consigli che il maestro Perboni dà ad Enrico: «Battere sull’aritmetica, sui problemi. Non si riesce alla prima? Si riposa un po’ e poi si ritenta. Non si riesce ancora! Un altro po’ di riposo e poi daccapo. E avanti, ma tranquillamente, senza affannarsi, senza montarsi la testa».
Da Gesù a De Amicis, da Collodi alla Montessori fino ad arrivare a studiosi di epoca più contemporanea come Erickson, si potrebbero trovare spunti a iosa su cosa sia essenziale e giusto da perseguire per essere un buon docente, nondimeno ci sono due elementi che non possono prescindere: buon senso e comprensione. Di buoni maestri tanto quanto dei cattivi ce ne sono stati, ce ne sono e (ahinoi!) ce ne saranno anche in futuro, ma il passo essenziale, il punto da tenere a mente, è puntare sì alla preparazione del ragazzo ma partendo soprattutto dal come, cioè dal presupposto che in ogni ragazzo o ragazza sia sempre possibile cavare un ragno dal buco.
Nonostante le difficoltà di comprensione, le famiglie disastrate, spesso emotivamente distanti, la mancanza di volontà o la mancata propensione per gli studi, tutto può essere considerato non ostacolo bensì terreno fertile non per coltivare futuri geni della scienza, della letteratura o di chicchessia, ma terreno fertile per crescere futuri cittadini consapevoli, in grado di saper rispettare l’altro e sapersi far rispettare, con delle conoscenze basilari, dialettiche ed emotive adeguate alle sfide del futuro.
Una sfida che gli insegnanti, quelli veri, portano avanti ogni giorno, lasciando un’impronta indelebile in ognuno dei loro studenti.