A Casa di Lucia | INES DELL’ANIMA MIA
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INES DELL’ANIMA MIA

“Un uomo fa’ quel che può, una donna quello che lui non può.”

Ines dell’anima mia è un libro che racchiude in sé biografia e romanzo storico ed ha il merito di farci conoscere un’eroina dal forte temperamento, indomita, passionale, coraggiosa, guerriera ma anche tanto umana: Ines Suarez. Una donna realmente esistita che non trova posto nei libri di scuola e di cui si parla poco nei documenti ufficiali ma che ha contribuito alla conquista del Cile in maniera determinante, fondando, insieme al suo amato, Pedro de Valdivia, la città di Santiago

Isabelle Allende, dopo numerose ricerche e vari studi sulla conquista del Cile, ha ridato la parola a questa grande eroina!

Proveniente da una povera famiglia spagnola, destinata dal nonno a rimanere “zitella” per poterlo poi accudire in vecchiaia, Ines dimostra già dalle prime pagine una ribellione agli schemi maschilisti dell’epoca.
Si innamora di Juan Malaga, un bel giovane spagnolo e, nonostante la famiglia fosse contraria, riesce a sposarlo.
Ben presto, scopre però che, oltre ad essere passionale e ad insegnarle tutta l’arte dell’amore, lui è un narciso violento, a cui piace avere più di una donna.
Un bel giorno la lascia per raggiungere il Sudamerica, attratto dalla ricchezza di quei luoghi e Ines non lo rivedrà più. Dopo alcuni anni, parte anche lei, con la scusa di cercare il marito perduto. In realtà, vuole ancora una volta ribellarsi al potere maschilista e bigotto del suo paese.
Intraprende quindi questo lungo viaggio, costellato di pericoli, omicidi e delusioni.
Arriva in Perù e si innamora di Pedro De Valdivia.
Proprio con quest’ultimo partirà alla conquista del Cile, in un susseguirsi di avventure, di battaglie contro gli Indios, di passione e di fatica.

A volte basta asciugare il sudore dalla fronte di un uomo stanco perchè poi mangi dalla mano che lo accarezza. Non c’è bisogno di essere negromanti. Essere leali, allegre, ascoltare – o almeno fingere di farlo -, cucinare bene, controllarlo senza che se ne accorga per evitare che commetta stupidaggini, godere e farlo godere a ogni abbraccio, e altre attenzioni molto semplici, sono la ricetta. Potrei riassumerla in un famoso detto: pugno di ferro in guanto di velluto.”

C’è da puntualizzare che l’autrice ha avuto cura di descrivere anche il punto di vista degli Indios, i loro riti, le loro emozioni e la loro rabbia nel vedersi sottrarre la terra dei loro avi con violenza e crudeltà.

La distruzione di intere popolazioni, la schiavitù di migliaia di esseri umani si contrappone alla resistenza e alla lotta di un popolo che non vuole rinunciare alla propria libertà. Un grido di dolore che ancora echeggia in quelle terre.

Isabel Allende ha la capacità di romanzare la realtà. Lei la definisce “opera di intuizione” provando ad immedesimarsi nelle sue protagoniste per poi raccontarle e farle raccontare. Direi che ci riesce davvero benissimo! Un inno alla donna che merita di esser letto da tutte le donne, perchè durante la lettura ti accompagna la certezza che quel che si legge è avvenuto nella realtà, rendendoti sia orgoglioso che vergognoso dell’appartenere al genere umano.

«Una donna eccezionalmente coraggiosa che ha vissuto una lunga vita – dichiara la scrittrice sudamericana – una vita straordinaria, una vita che mi sarebbe piaciuto vivere.»

Parola di Isabel

E per introdurvi in questa storia vi riporto l’accattivante Incipit. Buona Lettura!

Sono Inés Suàrez, suddita nella leale città di Santiago della Nuova Estremadura, Regno del Cile, anno 1580 di Nostro Signore. Della data esatta della mia nascita non sono certa ma, stando a mia madre, venni alla luce dopo la carestia e la terribile pestilenza che devastarono la Spagna alla morte di Filippo il Bello. Non credo fosse stata la scomparsa del re a provocare la peste, come diceva la gente vedendo passare il corteo funebre che lasciava dietro di sé per giorni, sospeso nell’aria, un odore di mandorle amare, ma non si può mai dire… La regina Giovanna, ancora giovane e bella, percorse in lungo e in largo la Castiglia per oltre due anni portandosi appresso quel feretro che apriva di tanto in tanto per baciare le labbra del marito, nella speranza che risuscitasse. A dispetto degli unguenti dell’imbalsamatore, il Bello puzzava. Quando io venni al mondo, la sventurata regina, pazza da legare, era già stata reclusa nel palazzo di Tordesillas insieme al cadavere del consorte, e ciò significa che ho sul groppone almeno una settantina di inverni e che prima di Natale mi toccherà morire. Potrei dire che è stata una gitana, sulle rive del fiume Jerte, a pronosticare la data della mia morte, ma sarebbe una di quelle falsità cui si da forma nei libri e che per il fatto di essere stampate sembrano vere. La gitana mi predisse semplicemente una lunga vita, genere di augurio che si fa a chiunque in cambio di una moneta. E il mio cuore frastornato ad annunciarmi la prossimità della fine. Ho sempre saputo che sarei morta anziana, in pace e nel mio letto, come tutte le donne della mia famiglia; per questo non ho esitato ad affrontare molteplici pericoli, dal momento che nessuno se ne va all’altro mondo prima che sia giunto il suo momento. “Tu andrai morendo vecchietta, non prima, señoray” mi tranquilizzava Catalina nel suo affabile castigliano del Perù quando il galoppo insistente che sentivo nel petto mi scagliava a terra. Ho dimenticato il nome in quechua di Catalina e ormai è tardi per domandarglielo, visto che l’ho seppellita nel patio di casa mia molti anni fa, ma sono assolutamente certa della precisione e della veridicità delle sue profezie. Catalina entrò al mio servizio nell’antica città di Cuzco, gioiello degli inca, all’epoca di Francisco Pizarro, quell’audace bastardo che, secondo le male lingue, in Spagna accudiva i maiali e finì per diventare marchese governatore del Perù, sfiancato dalla sua stessa ambizione e dai numerosi tradimenti. Ironia della sorte, in questo Nuovo Mondo, non sono in vigore le leggi della tradizione e tutto è aggrovigliato: santi e peccatori, bianchi, neri, mulatti, in-dios, meticci, nobili e braccianti… A chiunque di loro può succedere di trovarsi in catene, marchiato col ferro incandescente, e che la fortuna poi lo innalzi di nuovo. Ho vissuto più di quarant’anni nel Nuovo Mondo e ancora non mi sono abituata al disordine, benché io stessa ne abbia beneficiato, dato che, se fossi rimasta nel mio paesino d’origine, oggi sarei un’anziana qualsiasi, povera e cieca per il tanto cucire pizzi alla luce di una lanterna. Là sarei Inés, la sarta della strada dell’acquedotto. Qui sono dona Inés Suàrez, signora tra le più influenti, vedova dell’eccellentissimo governatore don Rodrigo de Quiroga, conquistatrice e fondatrice del Regno del Cile.

 

Se avete letto il romanzo, non potete non ricordarvi delle famose empanadas di Inés! Eccovi la ricetta:

https://www.acasadilucia.org/2024/08/02/le-empanadas-di-ines-suarez/



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