A Casa di Lucia | IN LIBIA: “Noi e l’Italia così e così”
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IN LIBIA: “Noi e l’Italia così e così”

Visitai la Libia nel settembre 2004, in un periodo di tempo di relativa tranquillità di questo paese africano a noi più vicino. Le tante vicissitudini attraversate dalla Libia prima e dopo di allora, non ancora sedate, mi consigliano di esporre le sensazioni avute allora da quel Paese e sorvolare ove possibile sul suo stato politico in questi ultimi anni. E, ancora, limito le mie note di viaggio alle località sulla costa mediterranea, che sono in netto contrasto con le meraviglie dell’interno, del Deserto dei Tuaregh, oggi, dei Garamanti, ieri, e delle civiltà preistoriche che hanno lasciato incisioni e pitture rupestri stupende, che potranno essere oggetto di un altro articolo.

 Il viaggio turistico fu autorizzato, con altri, in quanto la Libia si attendeva grossi investimenti nel turismo, a cui si era aperto da poco, dal quale sperava di incrementare l’occupazione interna e l’ammontare della valuta estera e far sì che il Paese, dove anche telefonare da Tripoli era complicato, non rimanesse il fanalino di coda del Mediterraneo.             

Queste erano le speranze ed i desideri del regime, ma a noi turisti apparve chiara che l’apertura del regime di Gheddafi verso l’esterno fosse lenta e guardinga nel timore che i turisti potessero influenzare in modo negativo il rapporto del popolo libico con il dittatore.

L’accompagnamento di una guida e di poliziotti “turistici” (il nostro gruppo aveva due poliziotti “turistici”) dall’arrivo in Libia alla partenza per l’Italia era previsto dalla legge libica: salvaguardavano l’incolumità dei turisti o erano attenti ad eventuali deroghe dalle usanze locali, come l’uso di bevande alcoliche, abbigliamenti troppo liberi, foto di aeroporti e/o di immobili militari o governativi, etc.? 

Se la stessa attenzione fosse stata prestata all’efficienza degli alberghi, che sbandieravano un numero di stelle maggiore di quello enorme che si vede nel cielo libico e pari solo a quello degli onnipresenti ritratti del loro leader massimo, oppure alla pulizia dei loro impossibili bagni, il viaggio in Libia sarebbe stato un godimento assoluto, specialmente per noi italiani, che abbiamo sempre avuto predilezione per quest’altra sponda del Mediterraneo.  

Ma anche i libici nutrivano molte simpatie nei confronti degli italiani, nonostante  Gheddafi, per ragioni di politica interna, avesse per anni additato l’Italia come una nazione nemica, tanto da stabilire una giornata in ricordo della cacciata degli italiani dalla Libia. Era frequente sentirsi apostrofare in italiano non solo da persone anziane, che facevano ricorso a lontane familiarità con gli Italiani, ma anche da giovani che avevano appreso l’italiano sui banchi di scuola o all’Università e da meno giovani che avevano lavorato alcuni anni in Italia. “Noi e Italia così e così”, ci diceva un libico a Tripoli, stringendo una sua mano con l’altra. Un imprenditore italiano incontrato all’aeroporto ci diceva che i libici giudicavano buono quanto era italiano. Ma gli antichi rancori per la nostra breve occupazione della Libia nella prima metà del secolo scorso erano ancora da sopire se il magnifico ponte sulla strada Bengasi-Susa, costruito da una impresa italiana, era stato intitolato ad un ribelle-patriota libico che gli italiani impiccarono negli anni Trenta. 

E molti sono gli incontri con l’Italia, specie dell’epoca fascista: dai palazzi alle chiese, dalle piccole città ai nomi di strade ancora italiani.

Una città fantasma è la nuova Tolemaide. Fu restaurata dagli italiani, ma è in stato di abbandono e quasi disabitata. È un vero peccato, perché la città, pur così polverosa e “sgarrupata”, ha ancora edifici stile anni trenta e conserva ricordi notevoli della nostra presenza come le insegne di alcuni negozi (vedi quella di un’officina meccanica con le insegne della Michelin) e scritte in italiano (vedi quella inneggiante al canto della mitraglia, frutto del Movimento Futurista e della propaganda fascista).

La nostra guida Khaleb, pur ben indottrinata dal regime, si rammaricava che, mentre il cimitero militare inglese fosse ben tenuto, quello dei militari e civili italiani fosse fatiscente per il completo abbandono in cui era stato tenuto negli ultimi quarant’anni. Ha dimenticato di aggiungere quanto abbia in ciò influito la non benevolenza di Gheddafi verso l’Italia.

La Tripolitania e la Cirenaica sono ricche di tracce degli antichi splendori fenici, greci e romani, a cominciare da Tripoli, la “bianca sposa del mediterraneo”, poco avendo lasciato di architettonico l’Impero ottomano se si eccettuano le moschee. Intorno a Tripoli i bei resti di Leptis Magna e di Sabrata ci riportano ai primi secoli dell’Impero Romano così come i centri di Apollonia, Cyrene e Tolemaide che hanno resti anche dell’Impero Bizantino.

L’Italia fascista, invece, a Tripoli ha lasciato l’impronta della sua architettura in molti edifici del centro, tra i quali quello che ancora ospita l’Istituto di arti e mestieri, quella che fu la Galleria del Bono, l’edificio che ospitò il Banco di Roma, ora in parte trasformato, e la bella chiesa di Santa Maria degli Angeli, che ora ospita una biblioteca, per citarne alcuni.

Il negozietto dell’albergo che ci ospitava vendeva cartoline illustrate di Tunisi, che erano ristampe di quelle edite nel periodo di occupazione italiana e quindi con scritte in italiano e le denominazioni delle strade e delle piazze imposte dal regime fascista: Corso Vittorio Emanuele, Banco di Roma, ancora Galleria Gen. Del Bono, e simili.

Il sorriso con cui, nella bella ed ampia Piazza Verde, quel giovane libico ci accolse con il suo “Noi e Italia così e così” ed i rapporti più stretti e sereni intervenuti tra i governi di Libia e d’Italia ci fecero sperare che il Mare Nostrum potesse diventare Mare di pace e di amore.

Ma la crisi politica ed economica in cui la Libia cadde dopo il crollo del regime di Gheddafi ha provocato l’aspirazione dei libici a venire in Italia ed il prosperare di un’industria illegale e mortifera di trasferimenti illegali di libici ed africani attraverso il Mare Nostrum, diventato ormai Mare Mortum.   



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