15 Mag IO, LA BRUGHIERA, LE CATTEDRALI E LA TERRA DI MEZZO
Non appena l’idea di emigrare si trasformò in decisione cercai nei romanzi classici inglesi lo spirito di quella terra che dopo poco sarebbe diventata la mia di adozione, d’altronde spesso questo è il mio primo approccio alla scoperta del nuovo: uno o più libri che me ne parlino.
Certo, la realtà odierna è del tutto diversa da quella che emerge dai classici ma quelle letture mi regalano ogni volta che viaggio in giro per l’ “Isola” la possibilità di volare con la fantasia e ritrovare i personaggi di ieri collocandoli nei luoghi dove i loro autori e autrici li hanno fatti agire.
Quindi oggi, vi conduco in un viaggio di suggestioni tra romanzo e realtà.
Si parte per lo Yorkshire regione a nord-est dell’isola, meta Whitby un villaggio affacciato sul Mare del nord.
Per raggiungerlo bisogna attraversare la brughiera, la terribile e affascinante Moor, chilometri e chilometri di territorio ondulato dove il vento la fa da padrone non incontrando nel suo eterno imperversare, una cima che lo ostacoli.
Le ondulazioni sono coperte per lo più di erica che se d’estate regala loro un manto rosa con la sua fioritura, in inverno non è che sterpi neri e duri rasoterra.
Lì con gli occhi della fantasia ho visto le sorelle Bronte avanzare sotto il cielo plumbeo con in mente il prossimo capitolo da scrivere mentre le loro vesti si impigliavano nei rovi e il vento cercava di strappar via loro le cuffie.
Là vivevano e soffrivano Catherine e Heathcliff tormentati nel loro amore impossibile.
E c’era anche Jane Eyre in fuga verso Nord e la Tess dei Durberville di Thomas Hardy dilaniata tra Alec, troppo demone per saper amare e Angel, troppo angelico per saper perdonare.
“Sentivo” che quei personaggi dolenti, complicati, ostaggi di caratteri spigolosi, potevano nascere solo lì in quella terra aspra che il poco che concedeva lo pretendeva restituito sotto forma di vita dura, dal cammino impervio come quello tra i rovi.
Ma ecco, in lontananza, ergersi sulla collina prospicente il mare la Cattedrale di Whitby oggi solo ruderi, e immaginavo quale dolce visione dovesse essere per il viandante di quattro secoli fa dopo aver attraversato la Moor.
Le cattedrali inglesi non erano solo luogo di preghiera ma anche di ristoro al riparo da freddo e pioggia.
Dal medioevo in poi, nella zona subito dopo l’entrata vi si teneva un piccolo mercato e non mancavano mai una bevanda calda e del pane.
Ancora oggi, ai lati dell’entrata nelle cattedrali grandi o piccole che siano, c’è un tavolo con l’immancabile Kettle, una sorta di brocca a corrente, per la preparazione di tè e caffè da sorbire mangiando pasticcini prima o dopo la messa e a chiunque entri viene offerta una tazza di tè. Ieri una necessità, oggi un tentativo di calma socializzazione tra persone che vanno sempre di fretta.
Ritornando verso il centro dell’ Inghilterra, ci si ferma a Lincoln nel Lincolnshire. Come non visitare la Cattedrale “sorella” di quella descritta da Ken Follett ne “I pilastri della terra”?
Entrare, essere assalita dall’ emozione ed essere trasportata in un altro tempo è stata questione di un secondo.
Ho visto i lavoranti su per le torri dare di martello e scalpello per modellare la pietra. Ho ascoltato il mastro costruttore preoccupato alla ricerca di una soluzione per la resistenza al vento che in cima alle torri le scuote senza tregua.
E le vetrate? Come renderle più ampie senza intaccare la solidità delle pareti?
Il tempo qui non è amico delle soluzioni lente, bisogna fare presto o l’arrivo della stagione fredda produrrà danni sulle pietre preparate dal mastro tagliatore, bisognerà coprirle con teli di cotone e sperare che sia sufficiente, che il gelo sia clemente andando via presto.
L’architettura interna è essenziale, solo colonne a fasci che sorreggono soffitti altissimi e quelle torri che “tirano” lo sguardo verso l’alto.
“Guarda più su – sembrano dire – più su delle tue paure, delle tue sconfitte, delle tue cadute. Lassù dove pensieri leggeri si colorano di cielo, puoi trovare la serenità”.
Pura magia.
Ma è tempo di tornare nelle Midlands, le Terre di Mezzo, no, non quelle nate dalla fantasia di Tolkien piuttosto quelle narrate da D.H. Lawrence nel suo libro “L’amante di Lady Chatterley”.
Un secolo fa questa parte dell’ Inghilterra era territorio di boschi e miniere di carbone che ingrigivano la natura intorno con i loro fumi polverosi. Qui si svolse la storia tra Clifford nobile inglese semiparalizzato impegnato a mantenere le apparenze dimostrando al mondo che aveva ancora un cervello funzionante, Constance che presto si accorge che di un marito incapace di provare e esprimere sentimenti amorosi non sa che farsene e Oliver rude guardiacaccia chiuso nel proprio dolore, impaurito dalla possibilità di esserne di nuovo preda ma che non sarà capace di tenere il cuore in prigione.
Da una parte Clifford dentro un’abitazione ricca ma fredda, triste, pervasa di morte.
Dall’altra Oliver, la sua capanna e il bosco coi suoi profumi, i timidi fiori.
Dove può trovare Constance la speranza di sapersi emozionare ancora se non lì?
Forse questo è il romanzo che ho amato di più proprio per quello spiraglio finale di luce.
Il viaggio è finito, sono di nuovo a casa.
Mancano altri due capitoli del mio percorso letterario inglese: Londra di Oscar Wilde e la Cornovaglia di W. Graham e il suo Poldark.
Anzi, i capitoli sono tre, dimenticavo Virginia Wolf, con lei mi si complica la geografia…
Ma di questi vi parlerò un’altra volta! A voi alcune immagini!
“A casa di Lucia” ringrazia per questo meraviglioso viaggio Silva Zenati, membro del Gruppo Facebook “Il Messia dei Libri” di Marco Latini.