09 Feb CONOSCIAMO ARLECCHINO
Il nome di Arlecchino, per il suo vestito a losanghe colorate, è diventato nella lingua italiana sinonimo di ‘multicolore’. Il suo nome probabilmente deriva da quello di Hellequin, un diavolo buffone del Medioevo francese, e inizialmente connotava un poveretto, stupido e pronto a fare a botte.
Arlecchino (in dialetto Arlechì) è una maschera bergamasca.
Il suo ruolo è quello di un servitore spensierato e allegro, ma anche astuto, che agisce per contrastare il suo padrone Pantalone, in accordo con l’amico Brighella, e per perseguire il suo interesse amoroso verso Colombina. Per le sue peculiarità viene definito trickster, cioè mistificatore, imbroglione .
La maschera di Arlecchino deriva dal connubio tra due tradizioni: lo Zanni bergamasco da una parte e i personaggi diabolici farseschi della tradizione popolare francese dall’altra.
Il personaggio ha invece un’origine più antica. Si sa che Arlecchino è anche il nome di un demone sotterraneo. Già nel XII secolo, Orderico Vitale nella sua “Storia Ecclesiastica” racconta dell’apparizione di una familia Herlechini, un corteo di anime morte guidato da questo demone gigante.
Un demone ancora più conosciuto, con un nome abbastanza simile al ben noto Arlecchino, è stato l’Alichino dantesco, che appare nell’Inferno come membro dei Malebranche, un gruppo di diavoli incaricati di ghermire i dannati della bolgia dei barattieri che escono dalla pece bollente. La maschera seicentesca evoca infatti il ghigno nero del demonio, presentando sul lato destro della fronte l’accenno di un corno.
La radice del nome è di origine germanica: Hölle König (re dell’inferno), traslato in Helleking, poi in Harlequin.
Ma passando nella cultura francese, Hel divenne un uomo, il re Herla o Herlequin (dall’antico inglese Herla Cyning poi erlking, tedesco Erlkönig, danese erlkonig, cioè il “re degli elfi“). La leggenda narra che nel cuore della notte un gruppo di dannati percorra il cielo al galoppo, assieme ai propri segugi, dando la caccia a qualcosa. Il re che capeggia questa corsa, a seconda della cultura, può essere Odino, Re Artù, Carlo Magno… o un certo Hellequin.
In Francia tutto ha inizio da un nome, appunto Hellequin, conte di Boulogne, ucciso dai Normanni, pare, nell’882. La leggenda sulla sua morte ha fatto sì che la caccia selvaggia venisse rinominata, in Francia, “masnada di Hellequin”.
L’Hellequin diventa così uno dei diavoli dei misteri medievali francesi.
Dalla Provenza questo personaggio arriva poi anche in Italia, più precisamente in un girone infernale. L’Inferno (come accennato prima) è quello di Dante e il demone è italianizzato come Alichino. Nell’universo di orrore e torture di Dante, però, Alichino viene concepito come un elemento comico, credulone com’è. Anche Dante, quindi, mostra come Arlecchino cambi nel corso del tempo.
Arlecchino entra così nei palcoscenici come saltimbanco.
La mezza maschera di Arlecchino continua ad evocare tuttavia una nota più diabolica: il suo ghigno sinistro, le sopracciglia rialzate e il colore nero le danno un tocco che richiama le sue origini.
Il costume, invece, rivela i cambiamenti di questa maschera: inizialmente, era costituito da un’accozzaglia di stracci diversi, gli unici che questo servo, povero in canna, poteva permettersi. Solo in un secondo tempo i suoi abiti diventano più aderenti e costituiti da losanghe rosse, verdi, blu e gialle.
Comparso come servo codardo, già nel Settecento Arlecchino è diventato, come il suo costume, qualcosa di diverso: lo scaltro e avido servitore di un nobile.
La storia di Arlecchino, quella da narrare ai bambini, è invece molto più bella. Si narra infatti che molti anni fa esistesse un bambino povero, chiamato Arlecchino, che viveva con la sua mamma in un’angusta casa. In una scuola di Bergamo per carnevale la maestra organizzò una bella festa e propose a tutti i bambini di vestirsi in maschera. Gli amici di Arlecchino decisero di mascherarsi l’ultimo giorno di carnevale con gli abiti cuciti dalle loro mamme. Arlecchino era triste perché la madre, che era vedova e povera, non poteva permettersi la stoffa per il suo vestito. Le mamme degli amici di Arlecchino allora si riunirono e le regalarono i loro avanzi di stoffa, così anche la mamma di Arlecchino poté cucirgli il vestito. Quando Arlecchino entrò in classe, lo accolsero con un fragoroso applauso, perché il suo vestito non solo era il più bello, ma anche il più originale.
La maschera di Arlecchino ci mostra un carattere stravagante e scapestrato. Ne combina di tutti i colori, inventa imbrogli e scherzi a spese dei padroni dai quali è a servizio. Non è uno stupido, magari è un po’ ingenuo ma ricco di fantasia e immaginazione, con scarsa propensione al lavoro. Le sue battute fanno ridere tutti quanti. Quando poi non sa come cavarsi da un impiccio o liberarsi da un guaio, Arlecchino diventa un abile maestro con le gambe: si cimenta in capriole, piroette e salti acrobatici. Vivace, piena di vita e di trovate geniali, è la più simpatica fra tutte le maschere italiane. E ancora oggi incanta e diverte il pubblico di grandi e piccini.
Ma gironzolando per la città di Bergamo cosa possiamo scoprire di Arlecchino?
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Sapete che in onore di questa maschera esiste un golosissimo dolce? Vi presentiamo la “Crostata Arlecchino”.
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