07 Nov SIDDHARTA
“E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita. E se Siddharta ascoltava attentamente questo fiume… allora il grande canto dalle mille voci consisteva in un’unica parola… la perfezione.”
Lo scrittore tedesco Hermann Hesse, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1946, scrisse la prima parte del Siddharta nell’inverno del 1919 fino al 1920. Poi ci fu una pausa e il manoscritto rimase là circa un anno e mezzo, finché iniziò a scrivere la seconda parte, che completò nel maggio del 1922. L’opera fu pubblicata nell’ottobre dello stesso anno dall’editore Fischer. Siddharta fu tradotto in Italia da Massimo Mila durante gli anni trascorsi nelle prigioni fasciste e fu pubblicato nel 1945 dall’editore Frassinelli.
Il libro racconta la storia di Siddharta, un giovane ragazzo indiano, che vive nella continua ricerca di “se stesso” (Atman) e che porta avanti la propria vita in pienezza, passando di esperienza in esperienza: dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari. Un personaggio complesso e dalle mille sfaccettature.
Hesse con Siddharta ha voluto mettere in luce l’essenza del peccato che si nasconde in ogni uomo, anche in quello che appare più saggio e puro. Ha voluto mostrare inoltre quante alternative e possibilità ha ognuno di noi di trovare la liberazione e vuole esprimere la necessità di una conoscenza del mondo circostante e pace interiore (che non sia solo fittizia) attraverso un percorso spirituale e fisico che conduce a se stessi. E questo può avvenire solo grazie alla conoscenza, alla messa in discussione e alle esperienze che arricchiscono ogni essere umano.
“Profondamente, si inchinò Govinda, sul suo vecchio viso corsero lacrime, delle quali egli nulla sapeva, come un fuoco arse nel suo cuore il sentimento del più intimo amore, della più umile venerazione. Profondamente egli s’inchinò fino a terra, davanti all’uomo che sedeva immobile e il cui sorriso gli ricordava tutto ciò ch’egli avesse mai amato in vita sua, tutto ciò che nella sua vita vi fosse mai stato di prezioso e di sacro.”